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Il Corriere di Tunisi “online” riporta le principali notizie pubblicate dal giornale distribuito in abbonamento e in vendita in edicola


In “lettere” la voce dei lettori che ci possono scrivere anche via email


 

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 832 - 184 [nuova serie]

NOSTRI PROBLEMI

 

Dopo mesi di negoziati fallimentari, tra scioperi generali che hanno paralizzato il paese, scioperi parziali e appelli allo sciopero generale i prossimi 20/21 febbraio, un accordo tra il governo tunisino e la centrale sindacale UGTT, per l’aumento degli stipendi nelle amministrazioni pubbliche, è stato firmato dopo mesi di tensioni, tra capo del governo Youssef Chahed e Noureddine Taboubi, segretario del sindacato tunisino, mettendo fine al ciclo di agitazioni sociali che scuoteva la Tunisia. I funzionari pubblici hanno ottenuto un aumento pari a 180 dinari per la categoria A1 e A2, a 170 dinari per la categoria A3 e 155 dinari per le categorie B e C ed infine gli operai avranno una paga aumentata di 135 dinari. 670mila funzionari beneficeranno di questi aumenti.

Nell’attualità tunisina spicca la discussione sul controllo delle attività delle associazioni a scopo caritatevole e delle scuole coraniche, fiorite all’indomani del 2011, che sono e sono state vivai d’indottrinamento e fornitori di jihadisti. Benché tutti rivendichino la loro estraneità, molti politici sono indicati per aver favorito il processo di radicalizzazione di una parte della gioventù tunisina. All’indomani dell’anniversario della morte di Chokri Belaïd, le sue accuse per denunciare il nesso tra politica e terrorismo, che sono state una delle cause del suo assassinio, non trovano risposte né chiare né convincenti. Alla vigilia di nuove elezioni legislative, fare chiarezza sulla provenienza dei fondi che hanno permesso alla Tunisia di essere uno dei vivai più importanti di apprendisti terroristi spediti in Siria, Irak e Libia ma soprattutto capire da chi e come sono state favoriti, permetterebbe al tunisino di esprimere il suo voto in modo più consapevole e sereno.

Il razzismo è una malattia morale o è la conseguenza diretta dello sfruttamento infamante di uomini su altri uomini? Questa è la domanda che ci possiamo porre sia in Italia dove l’intolleranza verso l’altro cresce a dismisura ma anche in Tunisia, dove a pochi giorni di distanza perdono la vita due cittadini originari dalla Costa d’Avorio, clandestini, per eccessivo sfruttamento. Appare chiaro che una riflessione seria e documentata, fuori dai banchi di semplicistiche propagande, debba essere fatta se crediamo ancora che i diritti dell’uomo siano fondamentali e alla base della nostra civiltà.

In Italia, la diplomazia politica specie per la sua posizione nei confronti del Venezuela e della Francia, desta molto stupore e inquietudine. In Francia vivono più di 400mila italiani senza contare gli oriundi, numero tra l’altro in crescita in questi ultimi anni, in Venezuela più di 500mila, per cui oltre alle gaffe diplomatiche, sarebbe interessante che il governo italiano si preoccupasse delle possibili conseguenze sulla vita dei suoi connazionali all’estero che hanno contribuito e continuano a contribuire alla buona nomea dell’Italia nel mondo. Preoccupa anche, come rilevato dal deputato Ungaro, che l’Italia non si stia interrogando sul futuro dei 700mila italiani che vivono nel Regno Unito una volta formalizzata la brexit.

Questo disinteresse per gli italiani all’estero si è manifestato anche in maniera molto più radicale con il taglio dei parlamentari eletti all’estero che da 18 (6 senatori e 12 deputati) passano a 12 (4 senatori e 8 deputati) e la dichiarazione del Sen. Calderoli che ha affermato: “Sono uno dei pochi che ha votato contro la legge Tremaglia, se fosse dipeso da me io gli eletti all’estero li avrei aboliti del tutto”. Dopo anni di lotte per l’ottenimento del diritto di voto degli italiani all’estero, dopo la mobilitazione corale delle forze politiche e della società civile per l’ottenimento di questo diritto fondamentale quale è il voto per il riconoscimento di una cittadinanza effettiva per gli italiani non residenti in Italia, questa dichiarazione riecheggia come un proclama di una morte annunciata.

La deputata Laura Garavini, intervenendo nell’aula parlamentare dopo la dichiarazione di Calderoli, ha al contrario affermato che “Noi avremo - se questa riforma andrà in porto - il fatto che, da un elettore ogni 150.000 alla Camera, si passerà a uno ogni 700.000... Al Senato, se per un parlamentare eletto in Italia serviranno 300.000 elettori, all'estero ne serviranno 1.400.000…Non c'è proporzionalità: è un'ingiustizia bella e buona…È una vera ingiustizia, una vera vergogna che va a danno di tutti i nostri concittadini, che invece tengono alto il nome dell'Italia e il valore della migliore italianità all'estero”.

Per noi, italiani all’estero, poter eleggere i nostri rappresentanti in Parlamento costituisce il cemento necessario ed inalienabile della nostra effettività cittadinanza. Non si può, in effetti, pretendere una parità dei diritti e dei doveri, se questi sono alienabili da un singolo governo, qualunque esso sia.

 



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 831 - 183 [nuova serie]

NOSTRI PROBLEMI

 

L’anno nuovo è appena iniziato: è tempo di riflessioni e di bilancio. Il filo rosso che univa le persone alle istituzioni si sta inesauribilmente allentando e la nostra vita privata è sempre maggiormente scollegata dalla vita pubblica. Tra l’io e il noi si stanno innalzando muri e la volontà privata sempre meno si identifica con la volontà generale, lasciandoci in balia della ragione del più forte che ci allontana dal sogno democratico che dal 1789 in poi aveva cullato generazioni al suono di libertà, eguaglianza e fraternità. Dov’è l’imperativo categorico etico che ti spinge ad agire “unicamente secondo quella massima, in forza della quale tu puoi volere nello stesso tempo che essa divenga una legge universale”? Nel mondo dell’opinionismo prorompente è ancora possibile pensare che tra interessi individuali ed interessi collettivi vi siano delle connessioni senza le quali saremo spinti irrimediabilmente da correnti verso lidi incerti, senza valori? Come ritrovare, seppur in forme diverse dal passato, il legame necessario tra interesse proprio ed interesse comune? Questa “solitudine”, nella quale ci stiamo trincerando, non rischia di creare un mondo nel quale, a lungo termine, l’unica difesa sarà la guerra (anche senza armi) di tutti contro tutti?

Per questo, ci sembra che oggi il nostro sforzo debba essere quello di ritrovare i legami possibili tra i nostri interessi privati e quelli pubblici senza i quali una società si sfalda e se si sfalda i rischi di essere spazzati via dalle correnti sono ancora più forti.

Le incertezze sul futuro delle giovani democrazie come la Tunisia, a pochi giorni dai festeggiamenti della rivoluzione del 14 gennaio 2011, che non riescono ancora a dare un assetto sociale, economico e culturale ai mutamenti politici avvenuti ormai otto anni fa, tracciano un inquietante divario tra interessi privati ed interessi comuni, che mettono a repentaglio la democrazia stessa.

In Europa, la situazione non è migliore anche se si esprime attraverso forme diverse. La crisi europea è anche crisi della democrazia stessa per cui ci sembra che tutti i nostri sforzi debbano esser tesi a ricostituire, seppur con profondi mutamenti, questo bene comune imprescindibilmente necessario non solo alla pace ma all’equilibrio delle potenze nel mondo. I particolarismi servono solo interessi privati ed in quanto tali escludono la collettività cioè noi tutti.

In Italia, la Maggioranza al governo procede alla riduzione dei parlamentari della Circoscrizione estero riducendo di fatto la rappresentanza politica dei cittadini in terra straniera e ciò malgrado l’opposizione dei parlamentari eletti nel mondo e quella del CGIE (Consiglio generale degli Italiani all’estero).

Eppure dal 2006 ad oggi la mobilità italiana è aumentata del 64,7% per cui a maggior ragione i rappresentanti eletti all’estero avrebbero dovuto aumentare e non diminuire come di fatto è avvenuto e come dice il Segretario del CGIE, Schiavone: Il numero di 18 rappresentanti introdotto nella costituzione italiana, dopo decenni dalla sua promulgazione, non è il frutto di compromessi politici, tanto meno di regalie, ma esso rappresenta il riconoscimento di una parte della Comunità nazionale residente altrove, e che oggi è quantificata per difetto in cinque milioni e seicentomila cittadini. Questi numeri corrispondono alla seconda regione italiana più popolosa per numero di cittadini, che dal punto di vista materiale ed economico ha un impatto corrispondente al 10 per cento del prodotto interno dell’Italia.

Questa decisione di marginalizzare ulteriormente l’impatto politico delle collettività italiane all’estero, in un momento in cui il loro numero aumenta notevolmente (si passa in effetti nell’arco di qualche anno da 3,1 milioni di iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) a più di 5,1 milioni nel 2018) dimostra che la rimozione della migrazione nell’inconscio politico del Paese non riguarda solo immigrati in arrivo (clandestini o regolari) in Italia ma gli emigrati  italiani stessi, della cui identità politica, economica, sociale e culturale si continua ancor oggi a dubitare. Ma allora che cosa significa essere italiani?

 



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 830 - 182 [nuova serie]

NOSTRI PROBLEMI

 

Un mese di novembre all’insegna della cultura italiana in Tunisia che ci ha regalato mostre, conferenze, assaggi golosi! Dal 19 al 24 novembre, la terza edizione della Settimana della cucina italiana, ha voluto valorizzare il patrimonio gastronomico italiano dimostrando, per chi ancora ne dubitasse, che la cucina è innanzitutto cultura poiché come afferma un esperto di storia dell’alimentazione, il Prof.Montanari: “Dal mio punto di vista la cucina è un elemento culturale fondamentale, fa cioè parte di tutte quelle componenti di base della società. Al di là degli aspetti nutrizionali, la cucina ci trasmette infatti dei valori simbolici, identitari, sociali, di convivialità. Credo che riflettere su questi aspetti culturali del cibo sia un modo per preparare anche chi fa il mestiere del cuoco ad avere una percezione del suo lavoro più ricca, più aperta, che la rende più interessante e che risponde anche meglio a ciò che i consumatori vogliono oggi. Perché non ci si accontenta più semplicemente di mangiare e di sfamarsi, ma si vuole consumare idee. Senza voler con questo intellettualizzare il cibo, in verità la cucina è di per sé stessa storicamente piena di idee ed è giusto che emergano. Riflettere sul contenuto culturale del cibo è dunque estremamente importante anche per chi fa tecnicamente cucina”.

Questa riflessione sull’alimentazione ha avuto anche il merito di interrogarsi sul nostro rapporto con l’ambiente e sulla necessità di evitare gli sprechi poichè “il mondo è il nostro giardino.”

L’interessante mostra “Classic Reloaded. Mediterranea” concepita dal MAXXI (Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo) in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri, è stata inaugurata il 29 novembre al Museo del Bardo a Tunisi e rimarrà aperta al pubblico sino alla fine di gennaio. La mostra, che espone realizzazioni di artisti italiani contemporanei, è ulteriormente valorizzata anche dal contrasto tra le sale d’ispirazione barocca del Palazzo e l’essenzialità delle opere.

Ai primi di dicembre la presentazione dell’Ambasciatore dell’Argentina Claudio Rosencwaig, sull’impatto e la storia dell’emigrazione italiana nel suo Paese ci permetterà di mettere a confronto due percorsi migratori degli italiani: quelli che si spostarono dalla terra d’origine all’Africa del Nord e quelli che invece migrarono in America Latina. Ciò al fine di elaborare una storia comparativa della migrazione italiana nel mondo.

Dal 6 all’8 dicembre, un convegno su “Architetti, ingenieri, imprenditori ed artisti decoratori italiani nel Maghreb” e una conferenza il 6 dicembre di Danielle Hentati sull’emigrazione italiana in Tunisia presso la Biblioteca Diocesana chiuderanno questo primo ciclo di eventi dedicato al mondo dell’italianità.

La politica però ci rincorre e questa oasi culturale nella quale con delizia ci eravamo immersi si dissolve nell’inquietudine di perderci nel deserto senza fine di un mondo in profonda crisi: in Italia il Decreto Sicurezza ed Immigrazione è stato approvato in via definitiva ed è diventato quindi legge, in Francia la rivolta dei “gilets jaunes” e le operazioni di vandalismo che l’hanno accompagnata ci interrogano su come evitare che un diritto fondamentale dello stato democratico, quale il diritto di manifestare, sia sviato e denaturato da migliaia di “casseurs” che saccheggiano, vandalizzano ed incediano luoghi simbolo della Repubblica. In Tunisia il braccio di ferro tra sindacato e governo continua mentre il potere d’acquisto dei cittadini si sta pericolosamente abbassando.

Una nota positiva: il Consiglio dei Ministri tunisino ha approvato la proposta di legge sulla parità di genere, in particolare in materia di eredità anche se ancora deve essere ratificata in Parlamento.

Entriamo in un periodo festivo: alla festa ebraica delle Luci (hanuka) ai primi di dicembre seguiranno le luminose feste natilizie che auguriamo possano dissipare per un momento le nubi che abbuiano i nostri cieli. A tutti i nostri lettori, che continuano a credere nell’importanza di una pubblicazione in lingua italiana nel Maghreb quale testimone delle relazioni politiche, culturali ed economiche tra le due rive del Mediterraneo, i nostri più cari auguri!

 



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 829 - 181 [nuova serie]

NOSTRI PROBLEMI

 

L'annuncio di un rimpasto ministeriale del governo tunisino voluto dal governo di Youssef Chahed, accolto con una certa freddezza da parte di alcune formazioni  politiche, ha toccato 18 ministeri. È quindi un'operazione che tocca in profondità la struttura del governo e che ci interroga sul significato politico di questo cambiamento, in un contesto di possibili tensioni sociali dovuto ad un rincaro notevole della vita, ad una disoccupazione giovanile crescente, ad una corruzione diffusa ed a un dialogo sempre più teso tra le varie formazioni politiche. Il rimpasto potrà portare il tanto atteso respiro alla Tunisia, alla vigilia delle elezioni del prossimo anno che si annunciano molto complesse?

La Tunisia riuscirà ad uscire dall'impasse politica, etica ed economica nella quale si trova oggi? Le formazioni politiche non sono molto rassicuranti nella misura in cui vi è un sempre maggiore divario tra politici e popolazione e dal momento che le opposizioni che dovrebbero avere un ruolo regolatore, sono spesso troppo deboli o vivono al loro interno troppe divergenze per costruire alternative credibili. Certo questi schemi li ritroviamo in molte altre realtà ma la posizione geografica della Tunisia, circondata da Paesi del tutto instabili o potenzialmente instabili la rende molto più vulnerabile.

In questo difficile contesto la visita del Presidente del Consiglio Conte potrà essere un'opportunità per un sostegno effettivo alla Tunisia?

Conte ha ribadito il suo appoggio alla Tunisia, unico Paese della regione che sta realizzando il percorso virtuoso ma difficile della democrazia ed ha invitato il Presidente tunisino Caid Essebsi alla conferenza di Palermo sulla Libia che vedrà attorno allo stesso tavolo le varie fazioni e rappresentanti libici tentare di uscire dalla guerra senza tregua che vive questo martoriato Paese.

La visita di Conte fa seguito ad una serie di incontri tra ministri italiani e tunisini, ultima delle quali quella del ministro Salvini che ha visto come temi principali terrorismo, migrazione e cooperazione. Un incontro con la collettività italiana si è svolto presso la residenza d'Italia nella quale il Presidente Conte ha ribadito il sostegno del governo alle imprese ed alla diffusione della lingua e cultura italiane in Tunisia.

Se c'è una forte disponibilità dell'Italia nei confronti della Tunisia, la Tunisia si aspetta che l'Italia rinnovi la conversione del debito già avvenuta dopo la visita di Caid Essebsi a Roma nel 2017 così come una partecipazione dell'Italia al progetto di sviluppo di El Mahdeth, nel Sahara tunisino.

L'Europa ed in particolare l'Italia stanno spingendo la Tunisia ad accettare sul suo territorio dei centri di controllo per migranti che abbiano funzione di smistamento tra i richiedenti asilo politico e quelli che emigrano per questioni economiche, facendo un distinguo difficile da percepire: come si possono separare le esigenze economiche da quelle politiche? La frontiera tra economia e politica è infatti molto labile e le distinzioni opinabili.

La Tunisia, ostile al progetto di avere sul suo territorio già fragile centri di sbarco e di pre-smistamento per migranti che vogliono recarsi in Europa, potrà reagire alle forti pressioni che subisce non solo dall'Italia ma dall'UE? La Tunisia non ha ancora votato la legge sull'asilo e probabilmente tarda a votarla proprio a causa della sua manifesta ostilità a diventare una piattaforma di sbarco per migranti diretti in Europa, cosa che, al contrario, risolverebbe i problemi degli sbarchi dei Paesi rivieraschi europei, spostando più a sud le frontiere degli arrivi dei candidati all'emigrazione. In altre parole, si vorrebbe spostare i centri d'accoglienza nei Paesi nordafricani ma la Tunisia può diventare la piattaforma degli sbarchi per evitare questi valzer degli Stati che fanno ballare pericolosamente navi di migranti da un porto all'altro? La società tunisina potrebbe essere in grado di risolvere la difficile questione degli sbarchi in Europa?

Diffidenze politiche, sociali, culturali ed economiche se non psicologiche si frappongono quando parliamo del fenomeno migratorio attuale che diventa di conseguenza una posta in gioco politica piuttosto che un vero problema da dibattere. Il fenomeno della migrazione al quale noi assistiamo non può essere in effetti un problema dibattuto solo in chiave nazionale e non può essere appannaggio di sole forze politiche contrarie o favorevoli che ideologizzano una problematica che va ben oltre i meri schieramenti.

Secondo noi, sarebbe necessario fare una vera riflessione ed indire una conferenza tra Paesi per dibattere seriamente della questione.

Se la Tunisia ha virtuosamente votato la legge contro la discriminazione razziale, un plauso particolare va alla Sede Centrale della Dante Alighieri a Roma che ha revocato dopo 80 anni l'atto di espulsione dei soci ebrei a seguito delle leggi razziali del 1938. Una giornata di studi intitolata ''La cultura italiana, la Società Dante Alighieri e l'antisemitismo italiano'' è stata organizzata proprio alla Dante a cura del suo Presidente Riccardi e da Gabriele Rigano, dell'Università per stranieri di Perugia, alla presenza di alcuni dei discendenti di quegli ebrei espulsi, ai quali è stato consegnato un diploma che dichiara i loro parenti soci perpetui, appunto revocandone l'espulsione, avvenuta a suo tempo sotto la presidenza di Felice Felicioni, chiamato a fascistizzare la Società. Un atto dovuto e che onora la Dante Alighieri!

 


 


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