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 661 - L’antifascismo italiano in Tunisia

 

L’antifascismo italiano in Tunisia

 

Nell’ambito del Master di Civiltà italiana insegnato all’Università della Manouba (Tunisi), si è tenuta una conferenza sul tema dell’antifascismo italiano in Tunisia, il 5 febbraio 2008.

La Professoressa Silvia Finzi, docente di Civiltà italiana, ha iniziato la conferenza presentando le due docenti venute da Napoli e indicando la complementarità delle loro relazioni: partire dalle testimonianze orali e scritte degli antifascisti, come pure dagli archivi, per poi allargare il discorso collocando l’emigrazione italiana in Tunisia nel quadro molto più vasto dell’emigrazione italiana nel mondo per studiarne le caratteristiche che sono all’origine dell’antifascismo.

Lucia Valenzi1  ha esordito con il rievocare i giovani antifascisti di Tunisi, le loro origini e la loro formazione: erano spesso figli della borghesia coloniale che decisero di rischiare tutto per aderire al Partito Comunista Tunisino. Erano livornesi, ebrei, ma anche tunisini, francesi, ecc..., come lo indicano i loro cognomi. Pur vivendo in Tunisia, non c’era provincialismo nella loro cultura. Avevano fatto studi superiori in Francia oppure in Italia, come ad esempio Loris Gallico che aveva svolto studi di giurisprudenza a Firenze. Ebbero quindi un’educazione aperta, molto spesso staccata dalla religione, specialmente per gli ebrei come testimoniano nelle loro memorie Nadia Gallico Spano e Ferruccio Bensasson. Le ragazze studiavano presso le suore di Notre Dame de Sion, erano colte, di conseguenza s’impegnarono consapevolmente, il che spiega che ci fu un nucleo di donne nel PCT.

Però quelle famiglie coloniali erano desiderose di aumentare la loro forza sicché alcuni padri aderirono al fascismo, in contrasto assoluto con le scelte dei figli, contrasto spesso drammatico. Così Ugo Bensasson i cui figli si erano impegnati tutti nell’antifascismo morì suicida in piena guerra perché non sopportò il crollo del fascismo, cioè il crollo del suo mondo.

Anche se il gruppo dei livornesi era costituito di parenti (i quattro fratelli e sorelle Gallico ad esempio), di apparentati e di amici, un humus culturale li apriva verso l’esterno grazie alla ricchezza di presenze diverse a Tunisi: era facile per i fuorusciti raggiungere la Tunisia dove erano presenti da decenni anarchici e repubblicani democratici come il dottore Nicolò Converti. Oggi nell’Archivio di Stato a Roma si trovano nientemeno che 600 dossiers di antifascisti italiani in Tunisia !

Così queste varie tendenze convergevano per formare l’antifascismo italiano in Tunisia. Pubblicavano giornali come “Il Domani” che richiederebbero un’analisi dettagliata che fin’ora non è stata fatta.

All’inizio fu solo una contestazione giovanile di fronte alla presenza dilagante del fascismo che stava diventando padrone delle istituzioni italiane in Tunisia: scuole, ospedale, banche, assicurazioni, associazioni. Ovviamente lo sfondo del colonialismo giocò un ruolo importante perché neppure esso era privo di violenza e di sopraffazione come il pogrom di Costantina in Algeria. Fu decisivo per alcuni fra cui Maurizio Valenzi.

D’altra parte a Tunisi vi era una barriera invisibile fra la città europea e la medina. Ma il PCT consentiva di valicare questa barriera per assistere ad incontri, a riunioni, quindi consentiva di unirsi. Come pure vi era una divisione tra Tunisi e il resto del paese che fu superata grazie ai contatti dapprima con i braccianti, poi con gli operai, ad esempio quelli delle miniere di fosfati. Il sindacato CGTT  ebbe allora un ruolo notevole nelle lotte operaie, però aveva i suoi limiti sicché certi sindacalisti s’impegnarono nella lotta politica come Ferruccio Bensasson.

Ma l’assassinio di Giuseppe Miceli, giovane falegname sindacalista e comunista, avvenuto il 20 settembre 1937 a Tunisi, segnò una svolta nella loro militanza. Ferruccio Bensasson scrisse:” Con l’assassinio di Giuseppe Miceli è morto il nostro dilettantismo”. Gli scioperi e le reazioni che seguirono diedero riconoscimento al gruppo dei giovani antifascisti italiani di Tunisia, il che impressionò fortemente il Centro Estero del PCI stabilito a Parigi. Nel 1939 arrivarono a Tunisi Giorgio Amendola e Velio Spano per prendere le redini del gruppo e collegarsi con Parigi, il che permise loro di avere un’esperienza di organizzazione che fu decisiva con lo scoppio della guerra.

Teresa Tomaselli2  è poi intervenuta sul quadro più generale della storia dell’emigrazione italiana, ricordando che la Tunisia era una meta tradizionale e rilevante. Benché ci fossero delle colonie italiane, gli italiani non andavano né in Libia né in Africa orientale.

La collettività italiana di Tunisia era una delle poche nel mondo a conservare la propria nazionalità  e ad avere le proprie istituzioni: ospedale, scuole, camera di commercio, nonché banche e assicurazioni. La Tunisia era quindi a metà strada fra paese migratorio e colonia. È raro trovare un paese in cui ci siano tutti gli aspetti dell’emigrazione, una complessa fisionomia che rese più complicata l’opera del fascismo. Non ci fu mai una fascistizzazione completa malgrado lo sforzo imponente del regime fascista di Roma. Negli anni Venti le resistenze furono molte perché esisteva una tradizione democratica negli ambienti italiani in Tunisia, contrariamente all’America, per esempio, dove il fascismo divenne la prima organizzazione degl’italiani.  Tuttavia anche in Tunisia  si cedette a poco a poco al fascismo dapprima per un sentimento di italianità esasperato dalle naturalizzazioni volute dal protettorato francese, poi per l’azione dell’OVRA.

In un primo tentativo di organizzare l’opposizione al fascismo, Giulio Barresi fondò la LIDU (Lega Italiana dei Diritti dell’ Uomo). Poi a metà degli anni Trenta, la situazione internazionale cambiò con la svolta del Komintern, il Fronte popolare in Francia e la Guerra di Spagna. In quel contesto, la LIDU creò “L’Italiano di Tunisi”, giornale molto importante perché evidenziava una forte tensione unitaria: esso indicava un’apertura sin dall’inizio, proponendo una ipotesi di collaborazione con tutti. Per contrapporsi all’italianità fascista, fatta tutta di romanità,  “L’Italiano di Tunisi” elaborava una nuova dimensione d’italianità che affondeva le sue radici sia nelle lotte del Risorgimento la cui figura simbolo era quella di Garibaldi, che nelle lotte del popolo per la libertà. In tal senso, Maurizio Valenzi scrisse, dopo l’assassinio dei fratelli Rosselli a Parigi, che Giacomo Matteotti (assassinato nell’estate 1924), Antonio Gramsci (morto il 27 aprile 1937 a Roma dopo anni di carcere) e Carlo Rosselli (assassinato insieme al fratello Nello l’11 giugno 1937 a Parigi) rappresentavano tre diverse forze politiche e perciò erano le tre figure fondanti della nuova identità italiana. In questa lista va annoverato un italiano di Tunisi: Giuseppe Miceli, assassinato a Tunisi il 20 settembre 1937.

Nel 1938 avvenne la cosiddetta “gazzarra di Montecitorio”, discorso durante il quale Ciano parlò delle “frontiere naturali” dell’Italia fra cui includeva la Tunisia. La conseguenza fu la rottura del patto Laval-Mussolini. Dal canto suo, il gruppo dei giovani antifascisti dichiarava che quella politica nuoceva gravemente agli interessi della collettività italiana di Tunisi e creò “Il Giornale” che, con grande lucidità, denunciò la politica aggressiva fascista. Pensavano che l’unità fosse una soluzione per superare i problemi di fronte alla guerra incombente.

Questo appello all’unità rimane fra i valori fondamentali tramandati dagli antifascisti.

Danielle Laguillon Hentati

 

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1 Lucia Valenzi è ricercatrice universitaria presso il Dipartimento di Discipline Storiche della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, svolge l’insegnamento di Storia Contemporanea nell’ambito del corso di laurea in Filosofia. Ha già pubblicato parecchi libri di cui: “Piero Memmi dal Capo Bon alle lotte contadine nell’Agro Nocerino-Sarnese”, Napoli, 1987, e “Qualcosa su mia madre”, Regione Campania, 2007

 

2 Teresa Tomaselli è docente di Storia e Filosofia nei licei classici e cultrice della materia Storia contemporanea presso l’Università Federico II di Napoli. Ha pubblicato per Guida Editori “Demografia e società in Campania tra le due guerre”. E’ anche studiosa dei problemi demografici e sociali della emigrazione, e vicedirettrice della rivista storica «Samnium».

 

 

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