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  Immigrazione-Emigrazione
 717 - DAL SUD DELLA TUNISIA

 

A ZARZIS SI TAGLIA LA CORDA VERSO LAMPEDUSA [segue RIFUGIATI  DI RAS EL JDHIR]

 

In questi ultimi tempi si parla di Zarzis, la ridente cittadina del sud est Tunisia  come  fosse la porta aperta sul mare verso Lampedusa. In realtà per precisare sarebbe più esatto indicare  la spiaggia di Hassi Jerbi nella località di Lalla Myriem. Un luogo al nord dal centro di circa 15 chilometri, oltre gli hotel frequentati dagli occidentali c’è una  lunga spiaggia isolata che è diventata il punto di partenza di molti barconi.  La rivoluzione che ha scacciato Ben Alì e la sua cricca di corrotti, il vento di democrazia che ha pervaso la Nazione, con le prospettive introdotte dal cambiamento ci avevano fatto pensare che era venuto il tempo per i tunisini di una azione tesa a consolidare la partecipazione di tutti ed in particolare dei giovani.  Avevamo  riposto le nostre speranze nella ricostruzione del nuovo tessuto  politico  di  libertà nella generazione dei giovani internauti, che sono stati una delle componenti importanti della rivolta. Per questo siamo sorpresi vedendo la miglior gioventù del popolo fuggire (harragas) lasciando la nazione in un pericoloso vuoto.  Il miraggio dell’occidente sembra si sia riproposto vestendosi di nuove opportunità che prende il nome di «asilo politico»  dovuto alla crisi interna e alla guerra in Libia. La situazione politica tunisina  è in una fase delicata di cambiamento che sembra sopportabile solo dalla parte forte della società, per molti altri  la mancanza di lavoro e l’insicurezza del futuro si è accentuata. Dalla Libia sono ritornati circa 60.000 tunisini che oggi vivono  senza lavoro. Maggiore povertà, l’insicurezza nel futuro e il conflitto libico con i suoi fuoriusciti spingono i giovani a tentare la fortuna con l’emigrazione anche rischiando la vita  nel mare. In oltre sono ancora vive le precedenti motivazioni che attirano in Italia ed in Europa. Per un tunisino andare in occidente  equivale ad acquistare prestigio nel suo ambiente d’origine. L’essere  in Europa anche se in estrema povertà  è considerato gia un successo, sovente ciò che è stimato peggio in occidente è il meglio che si possa aspirare in Tunisia. Questi sono pensieri ed argomentazioni espressi da molti giovani. I ministri Maroni e Frattini preoccupati soprattutto degli sbarchi a Lampedusa hanno con i rappresentanti del nuovo governo tunisino raggiunto una singolare intesa che mostra una certa incompetenza del problema. Si è parlato di un bonus di 1.500 euro  per ogni tunisino che accetterà volontariamente di ritornare nel suo paese e un aiuto alla Tunisia di 150 milioni di euro per rilanciare l’economia, che si può inscrivere nel pensiero: «aiutiamoli a casa loro», e nella ormai nota frase di Bossi: «fora di bal».  Noi crediamo che una tale proposta non farà che moltiplicare le partenze, anche gli incerti decideranno di andarsene perché avranno comunque  una possibilità di rimanere in Europa o alla peggio avranno in regalo 1500 euro.  In Italia pochi sanno che in Tunisia e soprattutto al sud uno stipendio quando c’è è di circa  180 euro. Ed è proprio qui nel sud che le partenze si ripetono , sulla spiaggia di Lalla Myriem  ci sono alcune case in riva al mare disabitate, i giovani giungono a piccoli gruppi si aiutano nello scavalcare i muri di cinta, aprono le porte per  dormire al riparo dell’umidità notturna in attesa dell’arrivo del barcone. Quando il mare è calmo e generalmente all’alba giunge l’imbarcazione che viene ancorata di prua  appena dopo la terza onda di risacca, mentre a poppa una lunga corda viene fissata a terra per ottenere una sufficiente stabilità alla imbarcazione. Allora i giovani si radunano e ad uno ad uno al comando di una sorta di lider occasionale, salgono e s’accucciano sui bordi delle paratie, il capo è l’ultimo a salire e con un coltello «taglia la corda» che abbandona sulla spiaggia e la barca và.  Gli occhi di tutti sono fissati all’orizzonte e  sulle onde,  speranze e paura si spandono su tutto il barcone diventando lo spirito di una supplica di salvezza. La terra scompare,  il mare si gonfia, le preghiere  diventano collettive. Il tempo di traversata è stimato in 18/20 ore. La notte, la paura diventa quasi terrore. I più incoscienti che qui sono chiamati coraggiosi lanciano frasi di sfida al mare, al cielo al vento. Alcuni sono figli di pescatori che conoscono il mare e i limiti della barca, si dice che siano i più preoccupati. La maggioranza vivono le ore come  ipnotizzati. Una vera fuga, in quei momenti giungono a maledire la loro terra d’origine che non ha saputo trattenerli ed amarli sufficientemente. La guerra di Gheddafi, i profughi, la rivoluzione interna, la durezza della  vita sono solo alcune delle componenti che spingono alla scelta del «viaggio verso Lampedusa.

 

 

Zarzis - Spiaggia Lalla Myriem

 


 

 

RIFUGIATI  DI RAS EL JDHIR

 

Migliaia di persone sono fuggite dalla Libia, sono lavoratori che prestavano la loro opera nella nazione di Gheddafi. Africani e orientali impiegati nell’edilizia e nel piccolissimo commercio al minuto. Secondo le stime ufficiali erano un milione e mezzo di anime emigrate dal loro paese in cerca di un possibile guadagno.  La guerra civile li ha costretti a raggiungere i confini con l’Egitto e con la Tunisia. Fuggiti da una situazione di pericolo, hanno cercato la  salvezza  oltre il confine, presso Ras el Jdhir dove si è formato un girone dantesco di dannati, una umanità assiepata  nella sabbia del deserto implora la salvezza, ed il ritorno a casa. Donne, bambini e uomini a migliaia vivono negli accampamenti allestititi dalle organizzazioni umanitarie in una condizione sociale e  igienica  difficile.  I finanziamenti destinati della Commissione Europea alle organizzazioni umanitarie in aiuto ai rifugiati provenienti dalla Libia è di 30 Milioni di euro, mentre il fondo di sorveglianza alle frontiere  di 1820 milioni. Queste sono cifre sproporzionate tra loro viste le enormi differenze si deduce  che le poche migliaia di tunisini che sono sbarcati a Lampedusa hanno prodotto un sentimento di difesa del suolo italiano e europeo di altissimo costo. Mentre i 140.000 rifugiati  in Tunisia  possono essere liquidati senza troppi scrupoli con pochi soldi.     Gli accampamenti sul territorio Tunisino si trovano a 6 chilometri da  Ras el Jdhir che è il confine con la Libia. Sul campo sono presenti numerose associazioni  dall’Unione Europea tra cui alcuni italiani. In genere questi cooperanti altamente qualificati alloggiano nei lussuosi Hotel  di Zarzis a 80 chilometri dall’accampamento e si recano   con auto e autisti  a nolo sul campo per ritornare in giornata negli accoglientissimi alberghi a 4 e 5 stelle insieme ai villeggianti. Tutto questo è normale? Possiamo credere faccia parte di un protocollo d’azione che rientra nella consuetudine? Forse che lo studio della logistica e il supporto d’aiuto viene oggi inteso  anche in questo modo?  Penso che i poveri siano molto più solidali con altri poveri. Sarà per questo che il popolo tunisino si è attivato formando comitati spontanei in aiuto ai rifugiati.  Gruppi di normali cittadini di Zarzis, Ben Gardane, Tataouine di  diverso orientamento religioso e laico si sono organizzati. Le loro mogli cucinano  grandi pentoloni di kuskus, gli uomini raccolgono pane, latte, coperte che vengono distribuiti nei campi. Senza protocolli, senza metodi ma con autentico coinvolgimento emotivo. I rifugiati nonostante siano stretti in una situazione esplosiva fanno buon viso a cattivo gioco. Si mettono in coda ed attendono il loro turno per ricevere aiuto. Un inferno in cui l’umanità stride con l’umanitario. Le organizzazioni hanno fatto allestire migliaia di tende e alcuni cubi in plastica per le  necessità corporali, la puzza fetida si spande e la repulsione è forte,  una coda di donne è in attesa, ognuna attende educatamente il suo  turno per defecare. Gruppi di giovani neri provano a intonare canti per esorcizzare la malasorte. Alcuni bambini giocano a palla, si dice che ci siano state nascite sotto le tende. Altri manifestano contro Gheddafi. Una grande tenda bianca è stata adibita a moschea, una moltitudine si prepara alla preghiera, con l’aiuto di una bottiglia d’acqua esegue le abluzioni. Code chilometriche di uomini attendono, non si capisce cosa,  forse la speranza di continuare a vivere. Mi avvicinano alcuni uomini: somali, eritrei  e nigeriani , mi dicono che loro non torneranno mai a casa, mi dicono che se tornassero sarebbe per loro la morte: noi vogliamo andare in  Europa, oppure  resteremo qui nell’accampamento di Ras el Jdhir.  Sulla strada è arrivato un autobus, che porterà alcuni dei rifugiati all’aeroporto di Jerba, un primo passo verso casa,  sul fianco dell’autobus una grande scritte: «gran turismo tunisino».

 

Marino Alberto Zecchini

 

Code chilometriche a Ras El Jdhir

 

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