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  Dossier
 813 - I matrimoni misti in Tunisia

 

Convertito per amore di lei. I matrimoni misti

 

Una circolare del 1973 del Ministro della giustizia obbliga il marito non musulmano di una tunisina a convertirsi all’Islam. L’associazione Beity [1] di Tunisi, nel corso della conferenza stampa del 27 marzo scorso, ha annunciato che è sua intenzione chiedere udienza agli organi ministeriali interessati, per richiedere, prima della fine dell’anno, l’abrogazione della circolare del 5 novembre 1973, avvalendosi del contributo di numerose altre associazioni con cui intende formare una coalizione.

L’associazione Beity è stata istituita allo scopo di proteggere la donna, di promuovere la parità di genere e di lottare contro la violenza e la discriminazione. La coalizione, che si spera sarà rappresentata non solo dalle associazioni ma anche da alcuni deputati e persone che lottano per il rispetto e l’affermazione di questi diritti, avrà, dunque, il compito di mobilitarsi per l’abrogazione della predetta circolare del Ministro della giustizia del 5 novembre del 1973, che disciplina gli effetti del matrimonio celebrato tra la cittadina tunisina musulmana ed un non musulmano.

Attualmente questa coalizione rappresenta un raggruppamento informale creato su iniziativa del “Collectif Civil pour le défence des libertés individuelles”, del Collectif Civil Citoyens des deux Rives (FTCR) e di quello dell’A9aliyat, un’associazione che sostiene le minoranze. Le motivazioni che spingono il collettivo, lo spiega la stessa associazione, sono dettate dall’esigenza legata al cambiamento sociodemografico che il Paese conosce da più di 60 anni e che riguarda lo sviluppo della cultura dell’individuo in quanto tale, legato alle sue libere scelte. È proprio questa condizione, che emerge dallo studio della società tunisina, cioè quel notevole sforzo di apertura verso i diritti fondamentali della persona, a far ben sperare in un progresso collettivo del popolo, che inizi dal benessere individuale. Ad ogni buon conto, secondo lo spirito di Beity, per garantire il trionfo di questo sentimento diffuso, è necessario che lo Stato assicuri la tutela dei diritti fondamentali disponendo di fondi elargiti dalla stessa collettività. Ma il conflitto tra individuo e collettività è ancora troppo attuale nelle società musulmane ed i diritti umani sovente vengono rispettati solo se conformi alla shari’a, la legge islamica. È evidente, infatti, come nel diritto musulmano siano presenti diverse disuguaglianze non solo di genere, ma anche e, soprattutto, di carattere religioso. La conferenza della Beity, pertanto, è servita a rappresentare ancora una volta, le disuguaglianze esistenti rispetto alla circolare del 1973 che impone alla donna e al non musulmano i princìpi del diritto islamico.

Tale circolare, in passato, ha anche condizionato i giudici della Corte di Cassazione e, più recentemente, la Corte d’Appello di Sousse che con sentenza n.9246 del 3 maggio 2014 [2], si è pronunciata sulla questione, sostenendo la nullità assoluta del matrimonio di una musulmana con un non musulmano, con la conseguente illegittimità della eventuale coabitazione ed impossibilità per l’uomo di ottenere la nazionalità tunisina ed i diritti ad essa connessi, incluse l’eredità e la successione tra i coniugi.

Dati raccolti dall’associazione Beity fanno ritenere, sulla base di tali premesse, che le conversioni in Tunisia possano aver coinvolto migliaia di persone in un decennio. Una Costituzione democratica può essere influenzata dal contenuto di una circolare?

La presidente di Beity, la giurista Sanah Ben Achour, ha introdotto la conferenza stampa affermando che lo scopo della coalizione è quello di garantire il diritto alla libera scelta di sposarsi e che l’associazione resta aperta alla collaborazione con altre realtà interessate all’abrogazione della circolare in questione.

Nel corso della conferenza è stata più volte sostenuta la illegittimità, prima facie, della  predetta circolare perché contraria al diritto costituzionale tunisino, specie in riferimento all’art.21 della Costituzione, il quale garantisce la piena uguaglianza tra cittadini e cittadine, e all’art.46 ai sensi del quale è affidato allo Stato il compito di consolidare e migliorare i diritti già acquisiti dalla donna. Ben Achour non si è limitata a rilevare la sola contraddizione dell’atto ministeriale con il diritto interno, ma ha sottolineato come esso presenti limiti e condizioni opposte alla Convenzione delle Nazioni Unite del 1962, successivamente ratificata senza alcuna riserva dalla Tunisia. La professoressa Ben Achour ha infatti evidenziato come queste misure, che lei giudica incostituzionali, siano discriminatorie poiché contrarie al Codice di Statuto Personale che non prevede alcun ostacolo esplicito al matrimonio su basi religiose, di culto o credenze. La circolare, per queste ragioni, nel corso della conferenza è stata ritenuta causa di sofferenza per migliaia di tunisini che non possono trascrivere il loro matrimonio presso lo Stato Civile del Paese d’origine. Ben Achour ha fatto appello a tutti i democratici affinché aderiscano al collettivo per organizzare una campagna nazionale ed internazionale tesa ad ottenere l’abrogazione la circolare del 5 novembre 1973 del Ministro della Giustizia, un atto che mortifica il diritto delle cittadine tunisine di sposarsi con individui di fede diversa, poi obbligati alla conversione all’Islam.

“Questa circolare è inammissibile perché contraria alla libertà di coscienza, alla dignità, all’uguaglianza …” ha ribadito la presidente dell’associazione Beity.

La parola è poi passata a Tarek Ben Hiba [2bis], in rappresentanza della Fédération des Tunisiens pour une Citoyenneté des deux Rives (FTCR). «La nostra filosofia è l’uguaglianza dei diritti, di tutti i diritti» ha affermato Ben Hiba, ricordando come l’associazione si sia battuta anche al tempo dei due regimi autoritari precedenti e come tuttora continui a farlo per garantire il diritto di uguaglianza per tutti, cittadini e non.

Il segretario della FTCR ha sottolineato come il caso della circolare, riguardante la questione delle donne che trovano un limite alla trascrizione delle unioni celebrate all’estero, risulti eclatante e obblighi le cittadine tunisine a rinunciare anche ai propri diritti patrimoniali, quello relativo all’eredità, ad esempio, ai diritti personali dei propri figli e ad altre prerogative che si ripercuotono negativamente anche sul coniuge. “Vogliamo che questa circolare venga soppressa poiché obbligare i giovani a convertirsi non è normale” ha affermato Ben Hida.  

Ghaydaa Thabet [3], intervenuta successivamente, ha sottolineato: “l’associazione che rappresento ha registrato casi e questioni riguardanti le minoranze religiose, soprattutto di ebrei e cristiani cittadini tunisini coinvolti direttamente dagli effetti della circolare del 1973”. Sempre secondo Thabet, la circolare esclude le cittadine appartenenti ad altro credo religioso, in quanto fa riferimento alla cittadina tunisina basandosi sulla presunzione assoluta che essa sia musulmana, contrariamente a quanto stabilito dai trattati internazionali, ratificati dalla Tunisia, e al Codice di Statuto personale ove non figura alcuna differenza di religione come carattere impeditivo alla celebrazione del matrimonio. L’Ufficiale dello Stato Civile, ha continuato Ghaydaa Thabet, esige la conversione anche perché lui stesso è incapace di celebrare questo tipo di matrimonio ed infatti egli continua ad applicare la legge sulla base della circolare del 1973. È quello che lui stesso ammette al momento della presentazione della richiesta poiché afferma, sempre a dire di Thabet, di essere incapace di permettere la registrazione del matrimonio perché è suo compito applicare la legge. Così, i tunisini che si sono sposati all’estero, in Italia, in Francia o in altri Paesi e ritornano in Tunisia, non possono vedersi riconoscere il matrimonio già celebrato. Per lo Stato tunisino in questi casi, infatti, è come se la donna fosse nubile. Thabet ha poi reso noto che, nonostante il contesto favorevole alla circolare, si registrano dei casi in cui i giudici si sono ispirati ai princìpi costituzionali e ai diritti umani per riconoscere la piena validità dei matrimoni misti.

Lo scopo del Collettivo sarà, quindi, quello di lavorare affinché questa circolare venga abrogata, ha proseguito Thabet, la quale ha anche precisato che la istituenda Corte costituzionale, in quanto organo supremo, potrà certamente pronunciarsi per eliminare i numerosi e anacronistici limiti delle circolari richiamate riguardo a quanto non previsto dai testi attuali e dalla stessa Costituzione. Il professore Whaid Ferchichi, intervenuto successivamente, ha fatto osservare come l’Ufficiale di Stato civile possa affermare, in virtù di questa circolare, di applicare la legge, anche se in verità essa appare in palese contrasto con i due testi fondamentali in materia di libertà (la Costituzione e lo Statuto personale) e risulti contraria ai trattati internazionali ratificati dalla Tunisia in tema di libertà. In effetti, per Ferchichi, la libertà di coscienza, ex art.6 della Costituzione, viene calpestata poiché lo Stato si arroga il diritto di scelta generando una grave discriminazione in spregio del principio di uguaglianza tra i cittadini. L’art.46 Cost., inoltre, tutela i diritti già acquisiti dalle donne ed apre allo sviluppo di ulteriori vantaggi in favore di esse. “Questa circolare è illegale poiché nel suo carattere interpretativo va contro la libertà di coscienza che è sancita dalla nuova Costituzione”, ha dichiarato Ferchichi. Essa infatti, ha spiegato il professore, proprio per la sua natura di circolare, non ha carattere normativo e, quindi, non può innovare l’ordinamento giuridico, ciò significa che essa non ha il diritto di imporre regole diverse rispetto a ciò che è già previsto dalla legge. Inoltre, la legge deve ispirarsi al principio supremo di uguaglianza di ciascuno davanti ad essa. Ma il caso della circolare del 1973 non è il solo, ha affermato il professore, poiché esistono altre differenti circolari, anch’esse contraddittorie, riguardanti anche il Ministero dell’interno. Infatti, i differenti Ufficiali dello Stato Civile non appartengono tutti allo stesso corpo come, ad esempio, quelli della municipalità, i quali, invece, fanno parte del Ministero dell’interno. “Riguardo alla circolare del 1973, il Ministero della giustizia sceglie per la donna operando quindi una discriminazione e ponendosi in contrasto con la Costituzione”, ha aggiunto Ferchichi.

Sul punto, Sanah Ben Achour ha ribadito l’intenzione di chiedere delle udienze ufficiali ai differenti ministri interessati, in primo luogo il Ministro della Giustizia, ma anche al Ministro dell’interno poiché è di quel dicastero la circolare che regola le modalità di conversione all’Islam del nubendo e cioè, in primo luogo, attraverso un certificato rilasciato dal Mufti [5] che accerta la conversione. Saranno altresì richieste delle udienze anche a dei deputati con l’intento di creare un dibattito democratico, ha sottolineato ancora Ben Achour. Sempre a parere di quest’ultima occorrerà fare di più, procedendo cioè attraverso ricorsi ed eccezioni d’incostituzionalità, relativamente ai nuovi casi che verranno regolati sulla base della circolare de qua. Il collettivo, invece, ha già stabilito di organizzare un altro colloquio dopo l’estate, quando saranno stati raccolti maggiori dettagli e definiti tutti i punti riguardanti la vexata quaestio. “Questa non è un’obbligazione di mezzi piuttosto vuole esserla di risultati poiché siamo tutti determinati affinché la circolare venga abolita prima della fine dell’anno” ha detto Sanah Ben Achour. “Bisogna creare un dibattito con le componenti della società civile tunisina poiché non è giusto obbligare all’esilio interiore chi non è tunisino musulmano e quindi a vivere nella disuguaglianza”, ha proseguito la docente. Occorrerà, pertanto, chiedere preliminarmente udienza al Ministro della giustizia in ordine alla circolare che vieta il matrimonio tra tunisina musulmana e non musulmano. La docente ha anche rammentato come altre circolari, sia del Ministero dell’Interno che del Capo del Governo, dettino i criteri di conversione alla religione musulmana, fino alla nota più recente che affida al Mufti la facoltà di ufficializzare tale passaggio attraverso il rilascio di un certificato di conversione all’Islam. Ed in tema di conversioni, la presidente ha citato la prima circolare datata 1962, la n.23 del Ministero dell’Interno, che ingiunge all’Ufficiale di Stato Civile di attestare la diligenza dei nubendi rispetto all’Islam e di astenersi dal celebrare matrimoni se non tra due musulmani. Parimenti, nella circolare n.39 del 1988, indirizzata dal Primo Ministro agli Ufficiali di Stato Civile,  si richiede l’attestazione di conversione all’Islam del non musulmano prima della celebrazione del matrimonio. L’indispensabilitá di quest’atto, l’attestation d’islamité, risulta altresì confermata dalla circolare del Ministero dell’Interno, n.59 del 23 novembre 2004, la quale esige che la conversione sia ufficialmente dimostrata per mezzo del riconoscimento del Mufti della Repubblica tunisina.

Sempre a dire di Ben Achour, risulta dunque imprescindibile ottenere anche il sostegno dei deputati, insieme alle associazioni della società civile, onde poter creare un dibattito politico e democratico e portarlo verso la scena politica del Paese, quindi davanti all’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo. Parallelamente, occorrerà, inoltre, introdurre seminari sulla materia, avvalersi dell’aiuto di avvocati favorevoli attraverso con i quali procedere presentando ricorsi contro la circolare, sulla base dei futuri rifiuti delle differenti istituzioni di celebrare il matrimonio o trascriverlo. Non si può, ha infatti replicato la professoressa Ben Achour, mettere in pratica la decentralizzazione e parlare di democrazia rappresentativa, né creare le istituzioni costituzionali e, al contempo, non garantire il minimo di libertà di cittadinanza per tutte le persone che si trovano sul suolo tunisino o costringere all’esilio interiore sia i cittadini tunisini che gli amici stranieri che vivono in Tunisia.

La deputata Bochra Belhaj Humida [6] del partito di Nidaa Tounez, è poi intervenuta facendo rilevare come siffatta condizione abbia riguardato, all’inizio, solo le donne emancipate che, studiando all’estero, avevano maggiori opportunità di conoscere partners stranieri, e quindi dei futuri mariti, mentre oggi i casi risultano diversificati e non riguardano più solo quella categoria di donne.

Ben Achour ha ulteriormente affermato che, contrariamente a qualche circolare del Ministero dell’Interno, nell’art.5 dello Statuto personale non viene richiesta alcuna prova di diligenza per la celebrazione del matrimonio, piuttosto, esso vieta esplicitamente il matrimonio legato al rapporto di stretta parentela (es. i collaterali). Oggi invece, a seguito delle circolari innanzi indicate, l’Ufficiale dello Stato Civile esige dei documenti, primo tra tutti la conversione dei futuri sposi all’Islam. Si tratta, a dire della professoressa, di un obbligo che non ha niente a che vedere con l’Islam ma piuttosto con il diritto musulmano. Esistono, infatti, diverse interpretazioni dell’Islam e, tra l’altro, nel Corano è scritto che il musulmano può sposare le donne del Libro, quindi quelle ebree o cristiane, ma non quelle politeiste. È pur vero, sempre secondo Ben Achour, che alle donne non è riconosciuto lo stesso diritto, ma ciò ha a che fare con il patriarcato e la riproduzione piuttosto che con la religione.

Secondo Ben Achour, l’Islam si è sempre parlato di discorso politico e l’identità collettiva ha costituito la base per la legittimazione del potere arbitrale dei dirigenti e l’arbitrio è, dunque, fatto per i politici.

In ogni caso, ha ribadito Ferchici, tutto dovrà basarsi sul principio dello Stato civile e democratico e bisognerà portare gli attori della politica, ma anche della giustizia, verso questo orientamento; occorrerà provocare soprattutto la giustizia, partendo dal presupposto che la Costituzione enuncia il principio di non regressione.

Tarek Ben Hiba ha infine aggiunto “dico che bisogna arrivare all’uguaglianza dei diritti, anche nelle elezioni, faccio riferimento al Presidente della Repubblica che è stabilito debba essere solo musulmano…e questo può solo avvenire attraverso la modernizzazione del discorso religioso”. Tarek ha chiuso il dibattito ricordando come l’art.2 degli accordi di Barcellona sul partenariato affermi l’imprescindibile necessità del rispetto dei diritti dell’uomo, delle libertà individuali e dei diritti democratici e che non è stata la società civile a sottoscrivere siffatti accordi, ma il deposto presidente Ben Ali. “Infatti, lui ha firmato e lui lo ha detto: “il Governo tunisino si atterrà al rispetto delle leggi internazionali … Attualmente il solo mezzo che noi conosciamo è l’opinione pubblica attraverso la quale si potrà ottenere il rispetto di questi valori” ha concluso il segretario della FTCR.

Sulla questione è stata successivamente intervistata la giurista Salsabil Klibi, docente alla Facoltà di Scienze giuridiche, politiche e sociali di Tunisi, la quale ha chiarito le ragioni dell’infondatezza ed illegittimità della dibattuta circolare.  

Professoressa Klibi, pensa che sia necessario un intervento della futura Corte Costituzionale sulla materia che regola il matrimonio tra musulmane e non musulmani?

«Attualmente non abbiamo bisogno di andare davanti al Giudice costituzionale poiché questa circolare è palesemente illegale, essa non ha ragione d’esistere. Il Governo ha il dovere di ritirarla in quanto, come ben sappiamo, una circolare non può avere valore normativo, piuttosto essa deve limitarsi ad interpretare la legge o a completarla, quindi non aggiungere altro ancora. Per queste ovvie ragioni, ripeto, non abbiamo bisogno di attendere la Corte costituzionale, bensì occorrerebbe che essa si pronunciasse in futuro su altre questioni come l’uguaglianza tra uomo e donna in materia d’eredità. Dunque, siamo ancora convinti che debba essere il Giudice costituzionale a pronunciarsi sulle circolari riguardanti il matrimonio tra coppie miste nonché sulle modalità di convertirsi all’Islam. La questione non si pone comunque perché anche se all’art.1 della nuova Costituzione è riportato che l’Islam è la religione dello Stato, per contro, non dobbiamo dimenticare due elementi: il primo ha a che fare con i lavori preparatori della Carta costituzionale, in particolar modo con la storia del vecchio art.141, sulla revisione della Costituzione, dove si diceva esplicitamente che era interdetto di modificare “l’Islam en tant que réligion de l’Etat…” e, quando questo articolo è stato redatto, tutti si sono trovati in disaccordo poiché a maggioranza si è poi sostenuto che l’Islam non è la religione dello Stato al punto che, poi, nella Costituente si è deciso di aggiungere solo “le présent article ne peut faire l’objet de révision”, cioè si è sottolineato che l’intero art.1 non può essere abrogato. Ma l’art.1 non definisce l’Islam religione dello Stato e se l’Islam non è la religione dello Stato questo implica che il diritto musulmano non è il diritto dello Stato. Il secondo elemento ha invece a che fare con l’art.2, quello riguardante lo Stato civile. Esso, infatti, non si accontenta solo di dire che la Tunisia è uno Stato civile ma definisce lo Stato civile fondato sulla sovranità popolare, ciò significa che la sola fonte della legge è il diritto positivo. A questo punto, presi in esame questi due elementi, le cose sono chiare ed il Giudice costituzionale non deve fare un grande lavoro. Proprio per siffatte ragioni non bisogna attendere la Corte costituzionale per abrogare la circolare del 1973, piuttosto essa deve cessare di produrre i suoi effetti, senza indugio.

In merito alle altre circolari che regolano le modalità di conversione all’Islam, anche queste, allo stesso modo, devono essere ritirate poiché anch’esse non regolamentari in quanto aggiungono altro diritto pur non avendone alcuna facoltà».

Sono numerose oggi le associazioni, tra cui la Beity, che si battono per l’affermazione di certi diritti fondamentali, come quello non garantito dalla circolare del 1973. Lei ritiene che, come a Tunisi capitale, possa affermarsi la società civile locale e quindi realizzarsi una vera democratizzazione del Paese?

«Senza dubbio. Un ruolo fondamentale lo determinerà la decentralizzazione ma stiamo ancora aspettando il codice delle collettività locali ora in fase progettuale, mentre, a dicembre, ci saranno le elezioni municipali così come annunciato dal Presidente dell’Istanza elettorale Chafik Sarsar. Dunque, la democrazia tunisina può svilupparsi all’interno del Paese ed un attore determinante sarà la società civile che è molto presente nelle regioni ed attualmente si prepara a costituire liste indipendenti. Infatti, non saranno solo i classici partiti politici a presentare le loro candidature ma anche la società civile attraverso liste che vengono da questo substrato. Oggi si contano più di 20.000 associazioni in Tunisia, ove si dedica molta attenzione al tema della democrazia partecipativa e a quello della decentralizzazione. Sono infatti recenti le rivendicazioni di movimenti organizzati dagli abitanti di Tataouine ed El Kef, che rivendicano i loro diritti sociali ed economici in quanto cittadini».   

Il tema dei matrimoni misti è stato poi ripreso, a distanza di qualche giorno, dalla conferenza della Beity, da Yadh Ben Achour nel convegno intitolato: “Convertir l’autre et tolérer autrui: quelle solution pour cette antinomie des religions?”. Anche per Yadh Ben Achour la più volte richiamata circolare del 1973 non ha alcun valore giuridico, piuttosto essa attenta alla libertà di coscienza che dovrebbe essere garantita in virtù della Costituzione. Non a caso, egli ha anche ricordato che esistono alcune associazioni di femministe, tra cui la Beity, che tuttora si battono per l’abrogazione della citata circolare ed ha perciò ritenuto che, senz’altro, si potranno ottenere in futuro dei buoni risultati. La regola, infatti, ha sostenuto Ben Achour, non fa più l’unanimità in quanto esistono dei tribunali dissidenti che rifiutano certi princìpi e che, nei loro giudizi, si ispirano all’uguaglianza al fine di aggirare questa disparità di religione. La giurisprudenza, ha continuato Ben Achour, rimane pur sempre divisa, tant’è che, al riguardo, la precitata Corte d’Appello di Sousse, ignorando persino la nuova Carta costituzionale, nel 2014 ha continuato a conformarsi alla circolare del 1973. Sulla questione, ha ricordato il giurista, si è pronunciata nel 2016 la Corte di Cassazione che, rimettendo la questione ai giudici della Corte d’Appello di Tunisi, ha cassato la sentenza della suddetta Corte d’Appello sulla base dei seguenti motivi: - che questa condizione di disparità di religione costituisce un’invenzione dei giudici; - che essa non trova fondamento nella legge, in quanto la shari’a non è una fonte del diritto tunisino; - che il sistema tunisino è basato sul diritto positivo; - che la Tunisia ha ratificato i trattati internazionali, soprattutto la convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione. Ben Achour ha poi continuato sostenendo che, soprattutto in rapporto al diritto di famiglia tunisino, non esiste ancora una stabilizzazione, piuttosto esiste una certa alternanza di successi ed insuccessi in tema di uguaglianza. Ciononostante, resta la convinzione che la predetta dicotomia si risolverà a favore del progresso verso reali forme di parità.

La cosa più importante, ha rimarcato il professore, è che la questione sia stata posta negli stessi termini in cui risultano essere stati sollevati altri problemi inerenti i diritti fondamentali.

 

[1] L’associazione Beity, istituita nel 2011 e senza scopo di lucro, aiuta le donne in stato di bisogno.

[2] Tarek Ben Hiba, segretario generale della Fédération des Tunisiens pour une Citoyenneté des deux Rives (FTCR). L’associazione si occupa dei diritti umani in generale, soprattutto dei diritti dei migranti ma è molto attiva per l’affermazione della democrazia, della libertà di espressione e dei diritti umani in Tunisia.

[3] Ghaydaa Thabet, rappresentante dell’Association tunisienne de Soutien des Minorités.

[4] Professore e membro dell’Association tunisienne de défense des libertés individuelles (Adli).

[5] Il Mufti rappresenta la più alta autorità religiosa del Paese.

[6] Bochra Belhaj Humida, deputato del partito di Nidaa Tounez, avvocato, co-fondatrice dell’Association tunisienne des femmes démocrates (ATFD).

 

Giovanni D’Auria

 

 

 

La Prof.ssa Sanah Ben Achour presidente di Beity

 

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