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Cultura
791 - “NUTRIRE L'IMPERO. STORIE DI ALIMENTAZIONE DA ROMA E POMPEI” |
La mostra 'Nutrire l'Impero. Storie di alimentazione da Roma e Pompei."ospitata dal Museo dell’Ara Pacis di Roma dal 2 luglio al 15 novembre 2015 traccia un affresco complessivo sull’alimentazione nel mondo romano grazie a reperti archeologici, plastici, apparati multimediali e ricostruzioni. |
L’esposizione, ideata in occasione dell’EXPO 2015, è promossa dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo di Roma – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, dall’Assessorato a Roma produttiva e Città Metropolitana e da EXPO con la cura scientifica della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e della Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia.
La mostra racconta il mondo dell’alimentazione in età imperiale quando, intorno al bacino del Mediterraneo, si avviò la prima “globalizzazione dei consumi”.
A seguito della pax romana, intorno al bacino del Mediterraneo si determinò quella che oggi chiameremmo la prima “globalizzazione dei consumi" con relativa "delocalizzazione della produzione" dei beni primari. In età imperiale i romani bevevano in grandi quantità vini prodotti in Gallia, a Creta e a Cipro, oppure, se ricchi, i costosi vini campani; consumavano olio che giungeva per mare dall’odierna Andalusia; amavano il miele greco e soprattutto il garum, il condimento che facevano venire dall'Africa, dall'Oriente mediterraneo, dal lontano Portogallo, ma anche dalla vicina Pompei. Ma, soprattutto, il pane che mangiavano ogni giorno era un prodotto d'importazione, fatto con grano trasportato via mare su grandi navi dall'Africa e dall'Egitto. Il percorso espositivo ripercorre le soluzioni adottate dai romani per il rifornimento e la distribuzione del cibo, con i mezzi di trasporto via terra e soprattutto lungo le rotte marine. Si affrontano, inoltre, i temi della distribuzione "di massa" e del consumo alimentare nei diversi ceti sociali in due luoghi per molti versi emblematici: Roma, la più vasta e popolosa metropoli dell'antichità, e l’area vesuviana, con particolare riguardo a Pompei, Ercolano e Oplontis, fiorenti centri campani.
E' particolarmente interessante notare come in questo complesso flusso di beni indispensabili alla vita quotidiana di Roma la Tunisia giocasse un ruolo centrale: dai suoi porti partivano infatti grano e garum in grandi quantita'. La fertilita' della regione aveva infatti colpito profondamente i romani fin dai loro primi approdi su queste terre; sono loro che, colpiti dall'abbondanza delle terre coltivate, danno il nome Cap Bon alla penisola piú settentrionale della Tunisia.
Il visitatore è introdotto al tema del movimento delle merci da una grande carta del Mediterraneo realizzata con tecnica cinematografica. Qui si animano i principali flussi alimentari dei beni a lunga conservazione - grano, olio, vino e garum - e si visualizzano le rotte marine dai porti più grandi del Mediterraneo, Alessandria e Cartagine. Le merci arrivano a Roma e a Pompei attraverso i porti di Pozzuoli e di Ostia. Chiude questa parte della mostra il tema della grande distribuzione gratuita dei beni principali di sostentamento ai cittadini romani adulti, la plebe urbana e romana alla quale era riconosciuto un privilegio unico: quello di condividere i beni della conquista, dapprima solo grano, ma dal III secolo d.C. anche olio, vino e carne.
La terza sezione illustra il consumo delle merci e dei prodotti alimentari che poteva avvenire sia in luoghi pubblici, come le popinae e i thermopolia, gli antichi "bar" o "tavole calde" in cui romani e pompeiani consumavano il "cibo di strada", sia nei raffinati triclinia (sale da pranzo in cui i commensali mangiavano stando semidistesi su tipici lettini da banchetto) del ceto abbiente.
“ … nessuno ricorda che l’Italia ha bisogno di risorse esterne e che la vita del popolo romano è esposta ogni giorno alle incertezze del mare e delle tempeste!” (Tacito, Ann. III, 2.52). Con queste parole risentite Tiberio fustigava in senato i lussi e gli sperperi di Roma, ricordando che invano si sarebbero cercate in patria le risorse necessarie alla sopravvivenza dei cittadini se gli alimenti di base non fossero arrivati d’oltremare. Difficilmente si potrebbe esporre meglio la dipendenza alimentare di Roma dai suoi rifornimenti via mare già nell’alto impero.
Nell’arco di tempo che va da Augusto a Costantino (27. a.C. – 337 d.C. ), Roma è stata una metropoli di circa 1 milione di abitanti, alla testa di un impero che, secondo le stime correnti, ne contava 50/60 milioni. Nessuna città raggiunse più questa grandezza fino alle soglie della rivoluzione industriale. Nutrire Roma, alimentare una tale concentrazione umana, soprattutto di grano, costituì un' impresa di cui furono diretti responsabili gli imperatori. Facendosi carico dell’annona di Roma, ovvero del suo fabbisogno alimentare, il principe stabiliva un rapporto diretto e personale con il suo popolo. Soprattutto con i cittadini romani, maschi, adulti e residenti – la plebs urbana et romana, detta anche “plebe frumentaria” - che ogni mese ricevevano dallo stato, a titolo gratuito, 5 moggi di grano a testa, circa 35 Kg di frumento, una quantità che, trasformata in pane, risultava più che sufficiente per il sostentamento individuale.
Alla fine della Repubblica il grano consumato a Roma veniva dall’Africa, dalla Sicilia e dalla Sardegna, come ricorda Cicerone . Le cose mutarono con la conquista dell’Egitto e la politica di espansione agricola che Roma attuò in Africa: durante l’alto impero, il tributo granario venne prodotto e pagato per 1/3 dall’Egitto e per i restanti 2/3 dall’Africa, soprattutto le province corrispondenti alle odierne Tunisia, Algeria e Libia. Il risultato fu una produzione “delocalizzata” e monoculture estensive specializzate. Nonché forme di consumo che, forse per la prima volta nella storia, possiamo considerare “globalizzate”. Tutto ciò fu realizzato grazie all’efficienza della macchina amministrativa statale, che da una parte favoriva il libero commercio e dall’altra riscuoteva il grano quale imposta in natura (ma anche il vino, l’olio e altri alimenti), garantiva il suo trasporto su grandi navi mercantili che attraversavano il Mediterraneo, e ne seguiva il percorso fino ai monumentali magazzini del grande Emporiumromano, nell’odierno quartiere di Testaccio a Roma.
Nutrire Roma e garantire al tempo stesso il commercio alimentare in un impero in cui l’agricoltura era alla base dell’economia, fu compito di cui si fecero carico gli imperatori. Da Augusto in poi, fu il principe-monarca a controllare direttamente l’approvvigionamento di Roma. Ciò avvenne in vari modi , ma principalmente attraverso la figura del “prefetto dell’Annona” , un alto magistrato scelto tra la classe dei cavalieri, che diventava responsabile della “filiera” del grano, e in seguito anche dell’olio, che viaggiavano verso Roma.
Nel mondo romano l’olio non serviva unicamente a scopo alimentare: grandi quantità di ne venivano consumate per l’illuminazione, il riscaldamento, la cosmetica, in ambito medico e nelle officine artigianali. Di conseguenza ne esisteva una gran varietà. Sembra ad esempio che in età augustea l’olio africano godesse di scarsa fama e fosse ritenuto, almeno da Plinio, buono più che altro per le lampade. Quando invece si trattava di cibo, i buongustai mostravano una netta preferenza per l’olio italiano: quello che veniva prodotto in Liguria, oppure nell’Istria, ma soprattutto quello di Venafro, nell’odierno Molise. Le cose tuttavia stavano diversamente a livello di consumi di massa: in effetti l’olio spagnolo dovette dominare il mercato romano rivolto al consumo popolare, alimentare e non, per tutto il primo secolo dell’impero, per poi essere affiancato e infine cedere il passo all’olio africano nel corso del II secolo d.C. . Cosa aveva potuto trasformare l’olio africano, che aveva sofferto una pessima letteratura, sicuramente eccessiva, nell’olio più commerciato e consumato persino a Roma? Era accaduto che l’espansione romana in Africa aveva dato inizio alla trasformazione del suo paesaggio agrario a partire dall’Africa proconsularis, la provincia senatoria che comprendeva le odierne Tunisia e Algeria orientale. Qui l’agricoltura era stata praticata in modo intensivo e molto raffinato, come scrive Plinio, ma unicamente nelle oasi : “ … sotto le palme, che sono gigantesche”. Ma i Romani, o meglio le non molte famiglie senatorie che si spartirono i territori vinti, miravano a un ben diverso sfruttamento agricolo. E poiché la tecnica per impiantare coltivazioni estensive di olivi e ricavarne olio con massimo rendimento era già stata messa a punto in Italia (e rimarrà sostanzialmente la stessa fino alla moderna industria olearia) i Romani iniziarono a incentivare l’olivicoltura africana a partire dai contratti agricoli e poi con leggi ed esenzioni prima nell’entroterra cartaginese, quindi in Tripolitania (Libia) e Mauritania (Marocco). Quando poi Settimio Severo (197-211 d.C.), un africano nato e cresciuto a Leptis Magna, concesse distribuzioni gratuite di olio alla plebe romana, si può essere sicuri che quello che i cittadini dell’Urbe ritiravano quotidianamente presso le mensae olearie disseminate in città era olio africano.
Famosa per le sue strade, Roma si riforniva soprattutto via mare degli alimenti di base: grano, olio, garum, vino e molto altro. Convergendo da ogni direzione verso il più grande mercato dell'antichità, le navi si avvalevano di un’infrastruttura portuale “a sistema” , che andava da Centumcellae (Civitavecchia) a nord, fino a Puteoli (Pozzuoli) a sud. Il grano egiziano, ad esempio, arrivava a Pozzuoli, un enorme bacino naturale di 600 ettari provvisto di moli monumentali, come quello di 372 metri fatto costruire da Nerone.
La modernita' e complessita' della logistica che ha per secoli permesso a Roma di governare un impero prospero è soprendente. Questa mostra permette di capire un po' meglio il funzionamento di questa macchina gigantesca, di cui i libri di scuola ci fanno solo vedere alcuni aspetti, quali le molte guerre, la religione e le conquiste, ma che raramente parlano di come fosse organizzata la vita quotidiana della sua vasta e varia popolazione.
Leggendo le molte tavole esplicative si ha la sensazione di come l'Italia fosse si' il centro dell'impero ma anche di come tutte le sue altre parti participassero alla vita comune e non fossero solo dei fornitori di beni. In questi secoli Italia e Tunisia erano davvero vicine, legate da commerci e scambi economici e culturali.
Anna Maria Follis
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Elia Finzi |

Tunisi 1923-2012
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