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  Cultura
 638 - "Making off" di Nouri Bouzid vincitore del Tanit d’Oro nelle Giornate Cinematografiche di Cartagine 2006 : "Il film è una vittoria contro la paura"

 

“Making off” di Nouri Bouzid, presentato in occasione delle Giornate Cinematografiche di Cartagine e vincitore del Tanit d’Oro, era un film da non perdere. Conturbante, inquietante, perturbante e sconvolgente,  è un film che urta le coscienze e mette lo spettatore faccia a faccia con la realtà orribile di un kamikaze.

Ci permette di seguire passo per passo il processo di trasformazione in una bomba umana di un giovane tunisino: dal lavaggio del cervello sino alla messa in atto del suo gesto. Nouri Bouzid mette il dito su un problema molto pertinente e attuale e rappresenta la realtà in tutta la sua crudezza.

La storia comincia in un quartiere di Radès dove vive un giovane disoccupato, appassionato di danza e perseguitato sempre dalla polizia per i piccoli incidenti che provoca nella città con la sua banda di amici. Sognando, come gli ragazzi della sua generazione di partire clandestinamente in Europa, Chokri, conosciuto sotto il nome di “Bahta” trova delle difficoltà a realizzare questo suo sogno. Ed è precisamente lì che viene individuato da un gruppo di fondamentalisti islamici che vedono in lui un buon bersaglio per trasformarlo in kamikaze. “Bahta” viene quindi presentato al capo del gruppo che lo prende in carico e s’impegna, utilizzando tutti i mezzi per convincerlo, di dimenticare la sua vita precedente e di lanciarsi sulla “buona strada”, quella che porta direttamente al paradiso. Un paradiso “dove lo aspettano belle ragazze giovani”. Così scopriamo tutta la strategia di lavaggio del cervello che subisce l’eroe del film. Prima gli viene offerto l’alloggio, poi l’aiuto finanziario e un affetto paterno, poi gli vengono insegnati i principi dell’Islam confrontandoli con  quelli dell’Occidente, accusato di voler distruggere la cultura mussulmana, fino ad arrivare all’ultima tappa quella dell’iniziazione al “Jihad”. 

Il film percorre tutte le tappe della concretizzazione di questa strategia attraverso i cambiamenti registrati nel comportamento e nella personalità dell’attore principale. Lo vediamo prima prudente e un po’ scettico di fronte al discorso che cerca di distruggere le base del suo vecchio mondo, poi interessato al nuovo mondo che gli viene proposto. Comincia così a porsi domande sul rapporto Islam-Occidente, sulla guerra in Iraq, sul comportamento del buon mussulmano e sulla condizione del martirio nella religione. Convinto alla fine dei vantaggi di diventare un kamikaze e di morire per servire la causa dell’Islam, “Bahta” è comunque colto da una grandissima paura quando si tratta di passare all’azione. Una paura che lo blocca, lo tortura, lo perseguita dappertutto. Il rendersi conto della gravità della missione alla quale è stato “destinato da Dio” lo mette in una situazione di tragico dilemma tra il dovere sacro e il terrore della morte. E lì entra in una fase di dubbio, d’inquietudine e d’instabilità psicologica che si riflette in una continua fuga dalla casa del suo “padrone”, la violenza contro la sua ragazza e le brevi visite a sua madre. La decisione di morire è difficilissima da prendere e l’addio al mondo terreno sembra interminabile.

Nouri Bouzid ha cercato di incentrare tutto il film sul personaggio di “Bahta” per mostrare da una parte la strategia usata dai fondamentalisti per attirare i giovani e convincerli di sacrificarsi, scegliendo il cimitero e la camera oscura come luoghi essenziali dove si svolgono le scene del lavaggio di cervello, dall’altra il dilemma in cui viveva il protagonista del film, cercando di coinvolgere lo spettatore in questa tortura psicologica e in questo dubbio distruttivo. Però il dubbio non coglie solo il personaggio, ma anche l’attore stesso che lo incarna, cioè Lotfi Abdelli, che interrompe tre volte lo svolgimento della storia del film per protestare contro il suo contenuto e contro le vere intenzione del regista. Queste sequenze di protesta vengono inserite dentro la pellicola, come se facessero parte del copione originale. E’ un’idea molto originale quella di Bouzid di far assistere il pubblico all’inquietudine dell’attore, giovane anche lui, che si è sentito urtato nelle sue profonde convinzioni, così come una gran parte degli spettatori non abituati ad un discorso che mette in dubbio l’islam tradizionale come quello presentato dai fondamentalisti. Nel rispondere alle domande di  Lotfi Abdelli, anche sotto il peso della paura della reazioni violente che potrebbe suscitare questo film, Nouri Bouzid chiarisce, nell’occasione, il suo pensiero sulla religione che, secondo lui, “deve essere separata dalla politica”. E’ questa la sua posizione che tenta di veicolare attraverso la pellicola, ma non senza paura.  Ne è testimonianza il dialogo molto significativo tra l’attore e il regista quando il primo dice: “stai creando un mostro (riferendosi al film) che potrebbe ucciderci, ho paura… non dormo più” e il secondo gli risponde “neanch’io”.

Forte anche il finale quando “Bahta” decide di farsi esplodere per niente, senza un obiettivo, dietro un container di merci su cui è scritta la parola “capitale”. Bouzid accusa quindi il capitalismo aggressivo, la mondializzazione di essere dietro l’avvento e la crescita del terrorismo nel mondo e dietro il sacrificio di giovani, come il suo eroe, vittime di un gioco di interessi che li oltrepassano.

E’ un film duro, coraggioso che forse segnerà una nuova tappa nel cinema tunisino. La sua vittoria nella competizione ufficiale è “una vittoria contro la paura” dice Bouzid, ritirando il Tanit d’Oro. E’ una vittoria per la libertà di pensiero e di espressione dell’Artista Tunisino!

 

Hanene Zbiss

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