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  Collettività
 780 - UNO SVE TRA LE DUE SPONDE DEL MEDITERRANEO

 

“siamo noi i veri paesi
non le frontiere tracciate sulle mappe
con i nomi di uomini potenti (…)
Non ho mai voluto altro
che camminare in un luogo simile con te, con gli amici.
Una terra senza mappe.

(dal film "Il paziente inglese" di Anthony Minghella)

 

La mia avventura di italiana in Tunisia nasce innanzitutto da un’istintuale passione per i paesi arabo-islamici e dalla sete di immersione in un mondo troppo spesso vittima d’infondati e di certo non disinteressati pregiudizi. Il Servizio di Volontariato Europeo rappresentava per me un connubio ideale tra il mio desiderio di tornare in terra araba e la possibilità di lavorare sulle problematiche della società civile tunisina, attraverso un progetto incentrato sulla cittadinanza attiva. Lo SVE, infatti, essendo un programma di volontariato internazionale finanziato dalla Commissione Europea, mira a  sviluppare progetti in diverse aree di intervento, con l’obiettivo di favorire lo scambio interculturale e lo sviluppo delle comunità locali. La mia host organization, AJMEC (Association des Jeunes Méditerranéens pour les Echanges Culturels), è un’associazione situata a Kalâa Kébira - città del governatorato di Sousse - che mira a promuovere la cooperazione tra i giovani impegnati nelle ONG a livello internazionale. Il progetto a cui sto dedicando il mio volontariato, appunto, s’inspira ad una delle difficili questioni vissute dalla Tunisia post-rivoluzionaria, quella del complesso lavoro delle associazioni di volontariato locali.  La “fine” della rivoluzione ha visto nascere numerosi enti intenzionati a sviluppare progetti nel sociale e a migliorare le condizioni di vita in un contesto difficile come quello della Tunisia. La risorsa principale di tali organizzazioni sono i giovani tunisini, attori fondamentali di una realtà in fermento e in evoluzione. L’atteggiamento  prevalente di tali ragazzi di fronte alla possibilità d’impegnarsi nelle attività proposte dalle associazioni è, però, alquanto negativo e rassegnato; vige, inoltre, la confusione rispetto al ruolo di tali ONG. Il primo obiettivo del nostro progetto “Active Citizenship: Yes we can!!” è, dunque, quello d’informare i giovani tunisini riguardo le possibilità offerte dalle associazioni locali e di ricercare le ragioni del loro mancato coinvolgimento nei progetti sociali proposti. In linea con i principi dello SVE, l’approccio e gli spazi di intervento sono non-formali, questo significa tentare di avvicinarsi ai giovani tunisini condividendo le loro abitudini quotidiane e frequentando i luoghi di loro maggiore interesse (caffè, spazi pubblici, scuole e licei). In questa stessa strategia rientra l’organizzazione di attività di sensibilizzazione su temi di particolare interesse e problematicità (educazione stradale, educazione ambientale e al rispetto degli animali, etc..). Nello specifico, si sta tentando di coinvolgere i giovani in attività d’intervento concreto sul territorio attraverso, ad esempio, un progetto estivo per la pulizia della spiaggia adiacente Chott Maryam, e la futura organizzazione di giornate di adozione di gatti in cura presso un’associazione di Sousse. Nel periodo precedente al Ramadan, e quindi di maggiore attività delle associazioni giovanili e dei centri culturali presenti in zona, inoltre, abbiamo proposto una presentazione del programma di SVE che è stata accolta, ogni volta, con curiosità ed interesse. In tale occasione, infatti, per giovani che hanno sete di scoprire nuovi paesi, venire a conoscenza di un programma di scambio interculturale che include anche la Tunisia, ha rappresentato quantomeno uno spiraglio di speranza di affacciarsi al mondo esterno. A causa delle politiche eccessivamente restrittive in materia di immigrazione, infatti, per questi ragazzi è pressoché impossibile uscire dalla Tunisia, anche solo per fare una semplice vacanza! La sensazione costante che vivo qui, da cittadina europea in un paese nord-africano, è quella di imbarazzante ingiustizia. Esiste, infatti, una sconcertante disuguaglianza tra le possibilità – anche solo di mobilità - offerte ai ragazzi tunisini e a quelli europei, nonostante condividano spesso gli stessi legittimi interessi, curiosità, passioni. Una delle prime domande che mi sono posta sul mio ruolo di volontaria in paese non europeo è stata: “quale sarà la reazione della comunità locale, ed in particolare dei giovani tunisini, alla presenza di volontari europei che dovrebbero avere il compito di intervenire in un contesto a loro ignoto?”. La risposta è stata sorprendente e quasi immediata, ed è arrivata dal loro modo generoso di accoglierci. Incarnare l’ideale di un “mondo migliore” in un paese che nella sua complessità riesce a godere della semplicità della vita - un valore a noi ormai pressoché sconosciuto - è quasi destabilizzante.

La condizione generale di rassegnazione e sfiducia vissuta dai ragazzi tunisini si riflette, inevitabilmente, anche sulla realtà delle ONG locali. A parte il problema del coinvolgimento giovanile, tali organizzazioni si trovano ad agire in un contesto ostile, dovuto anche alla maggiore presenza ed influenza dei movimenti salafisti nel periodo post-rivoluzionario. Nel corso della mia esperienza ho potuto condividere tale realtà con alcuni enti particolarmente attivi sul territorio. L’incontro con le attiviste femministe di l’Association Tunisienne Des Femmes Démocrates (sezione di Kairouan) è stato particolarmente significativo. Si tratta, infatti, di una delle poche organizzazioni indipendenti presenti in Tunisia che lavora per la tutela dei diritti della donna e per l’uguaglianza di genere. In una delle città più islamiche e tradizionali della Tunisia, Kairouan appunto, in cui ad una donna non è consentito neppure di sedere in un bar per bere un tè, l’azione di questo gruppo di donne è un quotidiano atto di coraggio e tenacia. La loro voce non si è spenta neanche nel periodo caldo successivo all’emanazione della nuova Costituzione, anzi il loro intervento è particolarmente efficace attraverso l’organizzazione di incontri destinati al dibattito costituzionale e all’analisi degli articoli più spinosi. Tra i progetti più coraggiosi in corso c’è quello di una campagna per la promulgazione di una legge (che s’inspira all’articolo 46 della Costituzione) contro la violenza sulle donne e per l’adozione di una politica di prevenzione e di repressione dei responsabili di tale violenza. Un ulteriore obiettivo è di tradurre la nuova Costituzione nel dialetto tunisino, in modo da renderla più comprensibile alla maggior parte della popolazione. Nell’attuale fase che precede le elezioni di ottobre, inoltre, sono impegnate in una campagna di sensibilizzazione per l’iscrizione alle liste elettorali.

La collaborazione più produttiva durante il mio progetto di volontariato è stata quella con l’organizzazione “La mémoire et l’histoire locale” di Kalaa Sghira – un paesino della regione di Sousse - che ha messo a compimento la realizzazione di un museo storico-culturale. Anche nel caso di tale ente, non sono mancati i conflitti con i gruppi salafisti presenti sul territorio, la cui pretesa era di fare di quell’area una scuola coranica e che non hanno ancora cessato le loro minacce. I responsabili di tale associazione sono tutti professionisti, tra cui docenti universitari ed un giornalista. Alcuni di loro hanno avuto una formazione in Europa, hanno sperimentato il distacco (che in un primo momento può sembrare “la salvezza”) da una realtà troppo stretta per i loro animi in subbuglio, hanno potuto guardare dalla giusta distanza la loro vita tradizionale, a cui è destinata la maggior parte dei ragazzi tunisini, e magari criticarla; hanno sentito il desiderio di non far più parte di quella prigione morale in cui la famiglia, la comunità, la precarietà in Tunisia spesso ti rinchiudono; hanno avuto la rara possibilità di scegliere, ed hanno deciso di tornare. Indubbiamente, vivendo qui, ci vuole veramente poco per capire che quasi tutti i giovani tunisini che non sono mai usciti dalla nazione hanno il solo desiderio di andare via; molti di loro hanno perso amici o parenti in un mare per loro troppo ostile. Parlando con le poche persone del posto che sono tornate dall’Europa dopo averci vissuto per periodi più o meno lunghi, però, mi sono fatta l’idea che il peso di una società che spesso ti fa sentire anonimo e solo (anche da cittadino europeo) è a volte più insopportabile della precarietà vissuta in una terra che, nonostante le difficoltà – e forse anche grazie ad esse - rimane solidale. Nel caso dell’associazione di Kalaa Sghira, le persone esemplari che vi lavorano hanno deciso di mettere le loro competenze a disposizione della comunità locale, affrontando anche la soffocante influenza delle correnti più estremiste, e forse è questo il senso che hanno saputo dare al loro conflitto interiore. Il nostro lavoro al museo è stato davvero come coltivare, giorno dopo giorno, una piantina delicata interrata in un terreno poco fertile, sabbioso. Le nostre attività sono state soprattutto di ristrutturazione ed è stato un coinvolgimento totale nella comunità. Eravamo lì a respirare la polvere degli scavi al fianco di tutti coloro, giovani e meno giovani, che decidevano di contribuire durante le ore libere dal lavoro o in un giorno di vacanza dalla scuola. Eravamo seduti alla loro stessa tavola durante i numerosi inviti a mangiare quantità sorprendenti di cous cous. Eravamo lì quando abbiamo iniziato a vedere i primi colori emergere e gli spazi prendere forma. Il colore prevalente è il blu, ed è come un angolo di Sidi Bou Said che però non si affaccia sul mare ma che è un affaccio sulla storia, sulla cultura. Eravamo lì quando il museo era pronto per la sua inaugurazione, ed è stata una bellissima festa in costumi tradizionali!

Siamo tuttora lì a godere della bellezza dei fiori nati da quella piantina forse non così fragile. Durante il mese di Ramadan, infatti, è in corso un programma di spettacoli culturali, di importanti gruppi musicali e teatrali, a cui la partecipazione della gente del posto è sempre forte. Persone di tutte le età, intere famiglie, anziani e adolescenti riempiono tutti i posti a sedere ed animano il pergolato destinato al bar. L’anziano che ci serve il tè alle mandorle è lo stesso che, tutti i giorni dell’intero periodo di lavori al museo, ci ha concesso un po’ di ristoro con caffè e tè verde preparati con meticolosità. Le signore che ci offrono dolci tipici del periodo di Ramadan sono le stesse che ci invitavano a pranzo nelle loro case, e che ormai ci accolgono come membri delle loro grandi e calorose famiglie.

Da volontaria europea in Tunisia, sono ancora alla ricerca del senso profondo del mio SVE e del mio ruolo qui, e sono certa che molti degli aspetti che mi stanno arricchendo come individuo li potrò comprendere solo col tempo. Da ragazza italiana proveniente da un paesino del Salento risulta inevitabile sentirsi dilaniata tra due realtà limitrofe, così simili ma a volte inavvicinabili.

Viaggiare e percorrere un pezzetto di strada con fratelli dell’altra sponda è una gioia per cui vale la pena di affrontare interrogativi interiori spesso irrisolvibili.

     

Alessandra Santantonio

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