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  In Tunisia
 815 - INTERVISTA A BEN SEDRINE

 

Tunisia: Ivd, messo parola fine a “nostalgia della dittatura”.

Presidente Ben Sedrine: giudici antimafia italiani ci ispirano.

 

TUNISI, 05 GIU - È più determinata che mai Sihem Ben Sedrine, un passato da giornalista e attivista per i diritti umani, oggi alla testa della Commissione Verità e Dignità (Ivd), organo di giustizia transizionale istituito con una legge del 2013, nella sua missione di indagare sulle violazioni dei diritti umani commesse in Tunisia nel periodo che va dal 1° luglio 1955 fino al 2013 e risarcire le vittime riconosciute tali. L’abbiamo incontrata nel suo studio all’ultimo piano della sede dell’Ivd, in un elegante stabile nel centrale quartiere Montplaisir di Tunisi. Dietro di lei, appeso al centro della parete, uno stemma gigante della Repubblica tunisina.

 

”ll principale merito della prima audizione pubblica dell’Ivd, trasmessa in diretta tv nel novembre 2016, è stato quello di aver messo la parola fine alla tendenza a valorizzare la dittatura, molto in voga in quel periodo sui media dominanti, spiega con fare pacato ma deciso Ben Sedrine.” “Il secondo è quello di aver attaccato nel merito e svelato a tutti come funziona la corruzione. E ciò ha avuto l’effetto di una bomba atomica, per cui da quel momento la gente si è detta: ora non vogliamo più questo. Il lavoro dell’Ivd è enorme e svolto tra mille difficoltà, che riguardano soprattutto l’accesso ai documenti. Oltre 65 mila le denunce pervenute che poi sono state filtrate, analizzate e verificate nella loro veridicità da commissioni separate che lavorano ininterrottamente e contemporaneamente, mentre altre procedono alle audizioni a porte chiuse e pubbliche. Per quanto riguarda il funzionamento dell’Ivd, “in Tunisia abbiamo cercato di tener conto delle esperienze degli altri paesi che hanno istituito meccanismi di giustizia transizionale mutuando da essi le buone pratiche rigettando quelle negative, dice Ben Sedrine accennando ad alcuni casi incresciosi avvenuti in Sudafrica, precisando che “la riconciliazione non è il fine ultimo dell’Ivd, che invece è il ristabilimento dello stato di diritto e lo smantellamento del sistema dispotico e mafioso. La riconciliazione è una conseguenza del rendere pubblica la verità. Una delle conseguenze delle confessioni e della rivelazione della verità è il perdono. In questo modo la questione viene regolata in maniera pacifica e non con la violenza. La giustizia transizionale del resto esiste proprio per impedire che venga esercitata la legge del taglione e che si risolvano vecchie questioni in modo pacifico, e dare la parola ala vittima è già in sé un atto di riabilitazione” dice la presidente dell’Ivd. E il fatto di operare in un contesto musulmano non impedisce affatto di esercitare e valorizzare il concetto di perdono poiché esso è presente anche nell’Islam, seppur in maniera diversa, vantato piuttosto come virtù dell’uomo che condivide i valori di Dio, che si eleva. “Certo che bisogna saper perdonare, il perdono è uno strumento che permette di ricostruire una coesione sociale fratturata” sottolinea la presidente dell’Ivd. Per non dimenticare come il sistema dispotico messo in atto da Ben Ali funzionava, l’Ivd ha anche una speciale commissione di artisti e letterati che lavora sulla memoria, per poter fissare in forma d’arte lo struggimento di quegli anni di dittatura. Impossibile non chiedere alla Ben Sedrine un giudizio sull’azione anticorruzione lanciata il 23 maggio scorso dal premier Chahed, ribattezzata Mani Pulite, e se essa sia in qualche modo ricollegabile all’audizione pubblica, avvenuta qualche giorno prima, del nipote della “premier dame” Leila, Imed Trabelsi, in cui l’ex rampollo della famiglia presidenziale ha descritto un sistema di corruzione all’epoca ben rodato grazie alla complicità di doganieri, alti funzionari e ministri provocando un vero e proprio terremoto nell’opinione pubblica. “Se analizziamo la cronologia si può notare che c’è un evento che ha preceduto un altro evento, perché anche se Mani Pulite è stata preparata in gran segreto prima, magari la possibilità di affrontarla con coraggio prima della deposizione di Trabelsi non esisteva ancora e il fatto che l’Ivd abbia rivelato il sistema della corruzione tramite le parole di un pentito, ha indotto Chahed a mettere in pratica questa decisione di lottare contro la corruzione annunciata fin dal momento del suo insediamento, insomma gli ha dato il coraggio necessario”. Ciò non toglie assolutamente prestigio al fatto che Chahed abbia scelto di osare di fare questo. Avrebbe potuto dire, è troppo difficile, non posso affrontare e invece ha deciso di farlo. Si tratta di una buona decisione, una cosa di cui dobbiamo dargli conto. È tra i nostri obiettivi che il governo acquisisca verità rivelate dall’Ivd affinché le possa trasformare in atti politici ed è ciò che ha fatto Chahed e di cui siamo molto fieri.

Se poi si avvererà che il governo Chahed non ha fatto che regolamentare dei conti, ebbene la società civile e l’opinione pubblica sono vigili e giocano un ruolo efficace affinché il governo si assuma le proprie responsabilità in rapporto a questa questione della lotta alla corruzione. La corruzione è un male assoluto che ha intaccato lo Stato e lo Stato è stato colonizzato, come si colonizza un paese, da questa cancrena, e il governo di Ben Ali è stato il governo dei mafiosi che hanno strumentalizzato lo Stato per intercettarne le ricchezze e toglierle all’insieme della collettività. Tutto ciò che poteva andare nelle casse dello Stato non ci è mai arrivato. I mafiosi hanno preso e prendono i soldi prima che arrivino alle casse. Questo faceva Ben Ali e il suo sistema. Ha organizzato un sistema, in apparenza legale, rivestito da una pseudo-legalità, proteggendo ciò che facevano i mafiosi, utilizzando funzionari corrotti, impedendo che i soldi pubblici arrivassero nelle casse dello Stato e in questo modo ha impoverito lo Stato. Abbiamo tantissimi dossier al proposito. Assolutamente contraria invece Ben Sedrine sulla tanto discussa legge della riconciliazione economica nazionale, la cui discussione in parlamento è stata rinviata più e più volte per via del timore da parte di alcune parti politiche che essa consenta in qualche modo la riabilitazione dei corrotti. “Della riconciliazione di occupa l’Ivd con la Commissione riconciliazione e riabilitazione, ci spiega, bisogna che la persona chieda perdono per iscritto, che restituisca i soldi sottratti, che dica la verità, come ha operato. Questo è più importante dei soldi, perché permette di prevenire il fenomeno per il futuro e di fare delle riforme mirate, di far fronte a una nuova forma di corruzione che si va creando. Abbiamo avuto molte domande in seno all’Ivd da parte di personaggi del vecchio regime per affari di arbitraggio finanziario e corruzione, almeno 60 domande di arbitraggio legate alla corruzione sulle quali abbiamo cominciato a lavorare sopra. Il meccanismo previsto dalla legge è molto efficace, perché una volta assolti i requisiti della domanda, tutte le procedure giudiziarie contro quella persona si cancellano, e può tornare ad essere un cittadino ordinario, lo si perdona. “Hanno concepito questa legge per rendere vano e sottrarsi il nostro mandato e perdonare questi funzionari che hanno potuto rendere possibile il saccheggio delle risorse statali. Io preferisco chiamare questa legge, di riciclaggio in tutte le sue forme, la si vuole approvare, si vuole optare per impedire che l’Ivd faccia il suo lavoro, è chiaro. Per noi si tratta di una legge anticostituzionale, una legge che non lotta contro la corruzione ma che, anzi, va a coprirla e a ridare una verginità a chi si è reso complice o responsabile di atti di corruzione, anche la Commissione di Venezia è di questo parere. Il nostro è un lavoro duro, siamo perfettamente capaci di assolvere il nostro mandato nei termini stabiliti dalla legge (maggio 2018), ma stiamo in effetti incontrando una certa ostruzione da parte di alcuni organi dell’esecutivo, del parlamento o della giustizia che ci hanno fatto e ci fanno ostruzionismo, pongono ostacoli. Se continuano a crearci problemi non ce la faremo. Ad esempio abbiamo chiesto un appuntamento al premier Chahed dal mese di novembre scorso ma non siamo stati ancora ricevuti. A lui vorremmo dire che il nostro governo deve essere maggiormente cooperativo. “Siate cooperativi e termineremo in tempo il nostro lavoro, una volta finita la giustizia transizionale non ci sarà più bisogno di essa. Se invece non ci lasciate finire siamo obbligati a chiedere un altro anno. Possiamo terminare a condizione che gli altri organi dello Stato cooperino con l’Ivd e facilitino il suo lavoro invece di fare ogni volta difficoltà e ostacoli. Siamo inoltre attaccati continuamente sui media i cui giornalisti spesso non vengono nemmeno da noi a informarsi e chiedere, e non verificano le informazioni. L’Ivd è una istituzione dello Stato che lavora in condizioni ostili, abbiamo la speranza di continuare e di terminare grazie innanzitutto alla legge che ci protegge, ci assegna competenze chiare, ci dà la capacità di poter fare il nostro lavoro, e al sostegno della società civile e dell’opinione pubblica che è con noi e non con loro. Ma i media dominanti fuoriusciti dall’ancien regime, il cd. “deep state”, sono contro di noi e fanno di tutto per impedirci di fare bene, ci mettono delle catene ai piedi e poi ci domandano perché non corriamo veloci. Ma cosa fa l’Ivd? L’Ivd non è contro la gente che è incriminata. Al contrario lavora in loro favore, perché sarà l’unica opportunità per loro di farsi perdonare, perché i tunisini li perdonino, perché possano ricostruire la loro vita in maniera pulita e per ricostruire l’unità nazionale, una società inclusiva e per arrestare le fratture sociali. Se non poniamo fine a queste fratture sociali, ci sarà ancora più odio tra i giovani che non sono soddisfatti e quando c’è odio c’è violenza e quando c’è della violenza c’è il terrorismo. Il terrorismo è legato alla frattura sociale che esiste oggi in Tunisia. Quello che fa l’Ivd è cercare di colmare questo gap, ricucire queste fratture e costruire l’unità. Speriamo di riuscirci, abbiamo i mezzi per farlo. L’Ivd è la sola esperienza di gestione pacifica dei conflitti in un paese arabo. Lasciateci terminare il nostro lavoro e la Tunisia non potrà che trarne beneficio per avere stabilità, coesione e un avvenire integro con una società “bonificata” e una giustizia che funziona, investitori che hanno fiducia nel paese, che verranno qui ad investire e testimoniare che la Tunisia è importante, che può fungere da traino per l’insieme della regione. “Noi abbiamo imparato dagli italiani qualcosa. Voi non avete avuto una giustizia tranzisionale ma avete combattuto una lotta contro la mafia unica al mondo ottenendo successi notevoli in questo campo. I giudici antimafia per noi sono dei modelli e quando lavoriamo per svelare il sistema dispotico e mafioso che ho prima descritto, noi leggiamo le opere dei vostri eroi Falcone e Borsellino. Ci avete ispirato con il loro lavoro. Siete voi ad averci dato il modello dei pentiti. I pentiti danno delle informazioni molto preziose che permettono di smantellare il sistema mafioso e fanno in modo che lo stato di diritto possa vincere su quello mafioso. L’Italia ci ispira in ciò che abbiamo fatto e l’Italia è per noi un partner obbligato. Se riusciremo nella nostra missione, andremo ad aumentare i benefici del nostro successo, se invece falliamo andremo a produrre ancora una volta del terrorismo e voi siete in prima fila a ricevere tutto questo. Il terrorismo è anche il frutto dell’odio prodotto da questa gente disperata, è il prodotto della disperazione. Lo Stato non ha fatto niente per molti, ha preso soltanto le loro ricchezze e non gli dà nemmeno da mangiare, niente nemmeno di cui sognare. Vorrei che la Tunisia tornasse a far sognare questa gente, questa è la sfida per la Tunisia. L’Ivd, del resto, può contare non solo sul sostegno della società civile e dell’opinione pubblica, ma anche su quello della comunità internazionale, soprattutto delle Nazioni Unite, che ci hanno aiutato dal punto di vista strategico fin dall’inizio e favoriscono l’acquisizione di una expertise internazionale. “Abbiamo imparato anche da altre esperienze di giustizia transizionale, proprio grazie al sistema delle Nazioni Unite che comprendono perfettamente l’importanza del successo dell’esperienza tunisina, perché essa potrebbe fungere da esempio positivo per gli altri paesi in conflitto armato intorno a noi ed innescare una dinamica virtuosa per la regione”, conclude Ben Sedrine.

 

Paolo Paluzzi

 

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