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 806 - IL TERREMOTO IN ITALIA

 

Terremoto d’Appennino

Ancora una volta, il 30 ottobre 2016, è andata in scena una tragedia di cui oramai non si contano più le repliche. Il protagonista è sempre la stessa ondata di dolore che fa sussultare la Terra e lascia dietro sé dei paesi fantasma, campanili spezzati, montagne solcate da invisibili coltellate.

A migliaia hanno tremato e barcollando intontiti, giovani e anziani disorientati dalla profondità di un tuono interminabile e poi sorpresi da un futuro che si dissolve in colonne di polvere. Intanto, mentre il resto del mondo è preda di conflitti interminabili e migrazioni bibliche, gli eventi tellurici di questa portata suggeriscono metafore paradossali. Come quella di un continente africano alla deriva e di quello europeo che si fronteggiano e si sfidano ogni giorno. Ma sempre, al calar del sole, la morte e la desolazione si scoprono identiche ovunque, tanto sul fondo del Mediterraneo quanto tra le cime dell’Appennino. E allora anche questo terremoto ci appare come un clandestino che viaggia senza passaporto, che offende con brutalità, ignora i confini e supera ogni ostacolo, ogni barriera da abbattere comunque, nuova o antica, reale o culturale che sia.In questi giorni abbiamo riflettuto e riscopertoquantogli effetti di simili eventipossano anche unirele personepiuttosto che dividerle.È una buona occasione per ricordarsi che perfino le comunità di profughisono state d’aiuto e d’esempio, mobilitandosi hanno prestato le proprie braccia come volontari nell’immediatezza dei soccorsi.Il sisma del 30 ottobre, giunto aseguito di altre scosse devastanti egiudicato il maggiore per intensità dal 1980 ad oggi, non ha però fatto vittime. È questo un fatto che appare addirittura clamoroso, a giudicare dalle cronache e dalle ferite presenti sul territorio. Le prime stime parlano di decine di migliaia di sfollati dall’Italia centrale e, fatti salvi gli edifici crollati e quelli inesorabilmente pericolanti, è prevedibile che una porzione molto significativa di quei centri resterà inabitabile per lungo tempo. Alcune frange politiche, usando toni concilianti,hanno già messo le mani avanti assicurando la loro collaborazionenelle imminenti discussioni parlamentari, quei dibattitiche dovranno decidere come intervenire per affrontare il post catastrofe. Di volta in volta, ai vari livelli,gli amministratori hanno riconosciutol’estrema necessità di assicurare senza ritardo le prime sistemazioni alloggiative per tutti gli sfollati, nella prospettiva di un rientro delle popolazioninon appena ripristinate le condizioni di sicurezza. Il Governo e le Autorità preposte sembrano muoversi nella giusta direzione, con fondi che saranno esclusi dal patto di stabilità e con la promessa della ricostruzionedel patrimonio edilizio privato e pubblico, una sfida che prevede anche il salvataggio dell’ingente patrimonio culturale, artistico ed architettonico che è l’anima di quelle comunità. Oggi, dinanzi allo scetticismo che spesso accompagna l’immagine del nostro Paese in Europa, c’è davvero da augurarsi, una volta per tutte, che l’Italia sappia aggiornare la propria foto sulla carta d’identità e,che riesca a zittire i dubbiosi offrendo prova di dignità e di efficienza esemplari. Per fare ciò, la parola “accoglienza” potrà divenire, malgrado tutto, una sorta di passpartoutnelle mani diogni sfollatocosì come di ogni immigrato. Auguriamoci quindi chenon residuino palcoscenici per sciacallaggi demagogicida parte di chipraticacritiche strumentali oinsulse invettive razziste avverse agli immigrati, profughi estranei all’accaduto e come i terremotati oggi ugualmente distribuiti sul territorio, spesso in condizioni tutt’altro che degne e anche loro con un avvenire in briciole.

Terraemotusmaximusfuit

A proposito dei terremoti e della loro origine è stato detto molto, in questo caso, a ridosso di un evento tragico e “imprevedibile” che ha messo in ginocchio le popolazioni dell’Italia centrale, affrontiamo brevemente un aspetto meno dibattuto. Se è pur vero che simili disgrazie esulano, in una certa misura, dalla nostra capacità previsionale, va anche precisato che la sismologia ha predisposto da anni delle mappe concernenti il rischio sismico. Oggi chiunque puòdocumentarsi sulla sismicità della dorsale appenninica, così come sul resto del territori nazionale, su un portale internetche offre una grande quantità di informazioni aggiornate. L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha infatti reso pubblico un interessante sito Internet, http://www.ingv.it/it/,che permette perfino la visualizzazione in tempo reale dei terremoti che avvengonosul nostro pianeta. Gli studi in questo ambito sconfinano in numerosi campi, non ultimo la “archeosismologia”, una branca dell’archeologia che studia i fenomeni sismici dell’antichità, con la capacità di risalire, in modo attendibile, anche all’intensità dei terremoti sperimentati in passato dai nostri antenati. Alla cosiddetta “sismologia strumentale”,cui dobbiamo il monitoraggio di tali fenomeni negli ultimi due secoli, e a quella “storica” che si rifà a fonti scritte giunte fino a noi dal II, III secolo a.C., si sono aggiunte ed in parte sovrapposte, anche altre ricerche. Da alcuni decenni, la “archeosismologia” e la “paleosismologia”, per i periodi intorno ai 10.000 anni a.C.,hanno sviluppato studi e concluso ricerche sempre più efficaci. Ciò ha arricchito le nostre conoscenze con nuovi elementi che contribuiscono a fare chiarezza anche sulle più recenti distruzioni verificatesi nella nostra penisola.“Terremotusmaximusfuit”si legge sugli Annales Veronenses Antiqui riguardo al catastrofico terremoto che danneggiò la città medievale nel1117. Indagini approfondite eseguite sul patrimonio archeologico romano, hanno permesso di identificare le aree in cui si originarono i più forti terremoti che colpirono anche la capitale. Oltre allo stesso territorio capitolino, al litorale tirrenico edai Colli Albani, l’epicentro più attivo che ha generato scosse distruttive,si individua nelle strutture sismogenetiche primarie dell’Appennino centrale, con un picco d’intensità che,nel 1349,raggiunse il VII-VIII grado.Alcune tra lestorie che emergono dal passato fissano delle date certe, evidenziano come nell’antichità, le divinità che presiedevano al TerraeMotus, il Poseidone dei greci e il corrispondente Nettuno romano, non se ne stettero con le mani in mano. Gli elementi che concorrono al riconoscimento certo dei sismi del passato comprendono, ad esempio: notizie anche indirette da fonti letterarie antiche, concomitanza e coerenza nel dissesto anche parziale delle strutture crollate, abbandono e spoliazione di edifici, perfino notizie di aste pubbliche inattese volte alla vendita del materiale lapideo accumulatosi, sollevamento o abbassamento dei terreni, sommersione di strutture portuali, epigrafi che ricordano ricostruzioni o restauri di opere pubbliche, disegni e pitture d’epoca, tracce d’incendio. Sono questi soltanto alcuni elementi che, considerati nel loro complesso, permettono ai ricercatori di distinguere tra quelli che sono gli effetti di un terremoto ed il più ordinario e semplice crollo di costruzioni fatiscenti provocato dall’uomo o avvenuto per vetustà. Per l’antica Roma le notizie storiche riferiscono addirittura di un singolare “allarme”, infatti, in presenza di terremoti,“vibravano”le cosiddette lance di Marte espostenel Foro Romano, all’interno della “Regia”. Attraverso le fonti storiche è possibile risalire ad una ventina di terremoti di forte intensità, capaci dunque di produrre danni anche nella Capitale. Già per un sisma verificatosi nel 99 a.C., alcune analisi hanno permesso di ipotizzare proprio l’attivazione del sistema di faglie di Norcia… Altri terremoti nell’Italia centrale sono noti per il 15 d.C. che abbatté parte della non più irresistibile cinta muraria serviana di Roma. Altri eventi sono brevemente riepilogabili, considerando principalmente: il terremoto del 51 d.C., per il quale notizie storiche riferiscono che “la divinità scosse la terra per molto tempo”; il terremoto del 443 d.C. che a Roma, secondo i Fasti VindobonensesPosteriores, abbatté “statuae et portica nova”; il terremoto del 508 d.C., forse proprio l’”abominandi terraemotus” citato in un’iscrizione, che danneggiò gravemente, tra gli altri monumenti, l’anfiteatro Flavio, ossia il Colosseo peraltro già compromesso dagli effetti del precedente sisma del 443 d.C.; il terremoto del 608 d.C., per il quale le notizie sono scarse; il terremoto dell’801 d.C. che, stando agli Annales di Eginardo, causò un “grandissimo terremoto… crollò gran parte del tetto della Basilica di San Paolo Apostolo assieme alle travi, e in alcuni luoghi città e montagne rovinarono a terra”; il terremoto dell’847 d.C.,con epicentro a Venafro e che verosimilmente contribuì alla devastazione del Foro in Roma; il terremoto del 1044 ricordato nel Liber Pontificalis; il terremoto del settembre 1349, ricordato anche da Petrarca,che fu probabilmente il più forte mai percepito a Roma, contemporaneo ad un altro che nello stesso giorno distrusse l’Aquila, in proposito lo storico Matteo Villaniriferisce della caduta del campanile della chiesa di San Paolo e di altre strutture di essa, del crollo di una parte della torre delle Milizie e di quella deiConti, oltre alla rovina di molte parti di Roma; il terremoto del 1703, rappresentato da una sequenza di scosse che a Roma provocò alcuni crolli, compreso un numero imprecisato di archi del Colosseo (monumento ulteriormente indebolito dalla sottrazione delle grappe metalliche). Nella capitale questo sisma non provocò comunque vittime e fu attivo per un arco di tempo di due mesi,originandosi dalla progressiva rottura del sistema di faglie di Norcia e L’Aquila. Seguiranno altri eventi più o meno intensi negli anni 1812, 1895, 1899, 1909, 1915. I risultati delle ricerche hanno individuato quindi, confermandolo in modo chiaro,proprio nell’area di Norcia edin quella de L’Aquila, oltre all’Alta Valle dell’Aterno e del Fucino in Abruzzo, un sistema di faglie particolarmente attive e frequentemente soggette a sismi capaci di picchi massimi intorno al 6° e 7° grado. È evidente che si tratta di intensità catastrofiche rispetto alla natura del patrimonio architettonico esistente negli antichi centri dell’Appennino centrale. Non si tratta, si direbbe, di buone notizie, ma è anche da qui, da una simile prospettiva storica, che occorre ripartire per affrontareal meglio la ricostruzione dei centri lesionati e per tentare di convivere con un fenomeno che non perdona e che, per questo, ci impone di organizzarci in modo serio e preventivo, soprattutto nel rispetto della vita umana.

 

 

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