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In Tunisia
A cinque anni dalla rivoluzione dei Gelsomini, la Tunisia rivoluziona anche il proprio sistema di procedura penale, avvicinandosi ancor di più ai principi democratici apprezzati dalla cultura occidentale. Nonostante le prime elezioni libere tunisine abbiano apparentemente garantito la conquista di un sistema pienamente democratico, però, i fatti ci dimostrano che la Tunisia ha ancora molta strada da fare in tal senso. Suffragio universale, primato della Costituzione, e separazione dei poteri costituiscono le basi di una democrazia rappresentativa. Ma un concetto di democrazia moderna comprende anche: la libertà di stampa, l’indipendenza dello Stato dalla religione, la presenza di autorità che garantiscano la concorrenza nel commercio e che tutelino la riservatezza dei cittadini e dei loro dati personali, la garanzia dei diritti civili e politici a tutti (così da tutelare soprattutto le minoranze) ecc. La Tunisia ha un regime che potremmo definire di Democrazia minima (ovvero con suffragio universale, elezioni libere e ricorrenti, pluripartitismo, diverse e libere fonti di informazione). Il fatto che in gran parte il Paese del Gelsomino abbia mantenuto una struttura da Stato Poliziesco (da non confondere con Stato di Polizia) è significativa e rappresenta un retaggio della lunga e precedente dittatura. Infatti, il sistema di procedura penale, previsto per la fase delle indagini preliminari, non garantisce (o meglio non garantiva) alcun diritto di difesa all’indagato, rendendo de facto la Tunisia un regime poliziesco, ossia che fa ricorso a metodi di repressione violenta e antidemocratica per il mantenimento dell’ordine pubblico attraverso le forze dell’ordine. Fino ad oggi, chi veniva indagato dalla polizia rischiava di essere posto sotto stato di fermo senza alcun diritto di poter comunicare con un avvocato o con un familiare. Non veniva dunque garantito il naturale diritto di difesa. La prassi è quella di interrogare l’indagato alla stazione di polizia, per poi trasferirlo direttamente ad un centro di “garde à vue” situato nei pressi di importanti caserme di polizia come ad esempio Bouchoucha a Tunisi. Secondo il codice di procedura penale tunisino l’accusato può rimanere in stato di reclusione fino a sei giorni (termine rinnovabile su richiesta del Procuratore della Repubblica), per poi essere rilasciato in caso di archiviazione delle indagini oppure dichiarato imputato in un processo penale. Contrariamente alle prigioni, sottoposte al controllo del Ministero di Giustizia, i centri di detenzione cautelare sono amministrati dal Ministero dell’Interno. A seguito del riscontro, da parte di alcune organizzazioni umanitarie, di numerosi abusi e violenze nei confronti degli indagati, nel 2013 vi fu un progetto di riforma costituzionale per poter garantire a questi ultimi almeno i diritti minimi, ovvero: la presunzione di innocenza, il divieto di tortura, il diritto a nominare un avvocato e ad essere informati dei propri diritti al momento dell’arresto, il diritto ad essere trattati umanamente e nel rispetto della loro dignità. Dopo numerose sessioni e discussioni parlamentari, il giorno 02 di Febbraio del 2016, il Parlamento ha approvato all’unanimità la modifica degli artt. 13 bis e 57 del codice di procedura penale, relativi allo stato di fermo e custodia cautelare. Le modifiche succitate entreranno in vigore a partire dal primo di Giugno del 2016. Le modifiche principali prevedono la presenza di un avvocato già nella fase antecedente a quella giudiziale, ovvero durante il periodo di stato di fermo a seguito di indagini. La presenza di un difensore è rilevante soprattutto al fine di evitare abusi e torture, psicologiche e fisiche, da parte di alcuni poliziotti nei confronti del detenuto. Inoltre, il termine temporale di privazione della libertà passa dalle 72 ore, previste in precedenza, alle attuali 48 (termine rinnovabile per una sola volta e solo con autorizzazione del Procuratore della Repubblica). I termini per le contravvenzioni sono pari a 24 ore. Le autorità di polizia giudiziaria sono obbligate ad avvertire un familiare del detenuto sul suo status o, qualora si tratti di uno straniero, devono informare le autorità diplomatiche e consolari competenti, di modo che possa essere facilmente nominato un avvocato. I poliziotti devono redigere un verbale scritto dell’iter procedurale tenuto. I vizi nella procedura potranno essere resi nulli se non venissero rispettate le norme procedurali come sopra richiamate. I familiari o l’avvocato del detenuto possono richiedere che un controllo medico, durante la reclusione o al termine della stessa, sia espletato sul soggetto privato della libertà, per poter verificare eventuali abusi o torture. I poliziotti avranno anche un obbligo di informazione relativo ai diritti vantati dal detenuto, come ad esempio il diritto a nominare un legale e a sottoporsi ad un esame medico, e dovranno rendere consapevole lo stesso, con un linguaggio comprensibile, delle accuse mossegli e della procedura alla quale sarà sottoposto. Questi sono solo alcuni dettagli della riforma che prevede ulteriori cambiamenti nel sistema di procedura penale tunisino. Le modifiche apportate al codice di procedura rappresentano un passo importantissimo per il raggiungimento di una effettiva democrazia moderna in Tunisia. L’unico auspicio e speranza che resta a chi opera nel settore della Giustizia, come il sottoscritto, è che queste nuove tutele siano applicate e che non restino solo sulla carta. Giorgio Bianco
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