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  Nel Mediterraneo-Maghreb
 793 - Mediterraneo: sguardi incrociati

 

Quando nel Mediterraneo i migranti eravamo noi

 

Nella storia contemporanea del Mediterraneo non è difficile incappare in storie di emigrati italiani (e altri popoli europei come i greci, i maltesi, gli spagnoli, ecc.) molto simili a quelle che scorrono ormai quotidianamente sui nostri media, anche se diverse per il contesto storico, il numero e la direzione dei flussi, e le condizioni in cui si svolgevano e come venivano accolti questi migranti.

Nelle nostre ricerche sulle vicende storiche della stampa italiana in Tunisia (Abbiamo reperito oltre 130 testate di giornali italiani in Tunisia e il primo giornale ivi stampato era in lingua italiana, esattamente il 21 marzo 1838. Vedi M. Brondino, La stampa italiana in Tunisia, Milano 1998) ci siamo sovente imbattuti in  storie di emigrazione italiana come quella che viene qui riprodotta, per  non  dimenticarci che anche noi europei, in primis noi italiani, siamo stati dei migranti verso le terre del sud dove, all’inizio del secolo scorso in un contesto storico contrassegnato dalla colonizzazione europea, c’era  a Tunisi una comunità italiana di oltre centomila persone,  ad Alessandria d’Egitto un’altra con  più di sessantamila  e parecchie altre sparse lungo le sponde mediterranee.

In quest’ottica appunto trascriviamo, qui appresso, il testo  dell’articolo L’odissea di cinque operai siciliani in cerca  di Pane e Libertà, apparso sul giornale trisettimanale “La Voce Nuova” del  5 luglio 1931 che si pubblicava a Tunisi, perché ci aiuta a capire meglio l’attuale magmatico trend migratorio che oggi c’inquieta tutti nel mondo globalizzato. Nelle vicende dei cinque migranti siciliani vi sono espresse le luci e le ombre del sempiterno problema delle migrazioni che coinvolge coloro che migrano e coloro che accolgono, poiché per lo più  il pane non va verso chi ha fame,  ma viceversa.  Perciò vale sempre la massima: conoscere il passato per capire il presente e preparare il futuro.  

L’odissea di cinque operai siciliani in cerca di Pane e Libertà

LA VOCE NUOVA - Tunisi, 5 luglio 1931

E’ sera alta. Una luce diffusa di stelle sullo specchio del porto piccolo di Siracusa. Silenzio e afa estiva. Cinque uomini scendono giù sulla spiaggia bassa dove sonnecchia una barca. Ad uno ad uno i montano su spiando furtivamente intorno. Nessuno. Il luogo è deserto.

Tutto era stato diligentemente approntato per l’ora dell’ “evasione”. Una barca da pesca era stata acquistata da uno dei cinque, dal marinaio Politi col poco denaro che aveva potuto racimolare soldo a soldo. Il meccanico Burgio Giuseppe vi aveva applicato un motorino di sua proprietà di cinque cavalli.  Vela, remi, benzina, pane, gallette, un barile d’acqua, qualche scatola di latte, una bottiglia di marsala erano tutte le cose che quella sera stessa, 18 giugno, vennero caricate a bordo a poco a poco assieme a qualche indumento personale che ciascuno aveva infagottato alla rinfusa.

Politi era al comando della barca; gli altri quattro compagni, Vella Natale, Miceli Luciano, Marcello Cicero e Burgio Giuseppe erano ai remi. Una sola volontà li dominava, un solo ardente desiderio li spingeva: fuggire.

Niente motore per ora e niente vela. La barca si muove silenziosamente sotto lo sforzo iniziale dei vogatori trepidanti e prende il largo nell’ampio porto siracusano. Si raggiunge in breve la colorata lanterna della bocca; si rema ancora per altre due miglia in mare aperto, poi si sciolgono le vele al buon vento di terra e Burgio, il meccanico, dà il via al motore.

La barca fila verso la libertà e verso l’ignoto coi cinque fuggitivi.

 

CHI SONO?

Sono cinque uomini, cinque operai siciliani che fuggono nottetempo il suolo della patria come si fugge da una vigilata galera. Due di essi erano sotto una imminente condanna di deportazione, gli altri tre segnalati dalla polizia come pericolosi e irreducibili antifascisti.

Da parecchi mesi essi avevano concertato la fuga e non avevano vissuto che di quel pensiero, di quella speranza. Sovraeccitati da un sogno di libertà, nessun pericolo pareva ad essi grave per realizzarlo. E difatti, gettati su di un guscio in balia del grande mare, eccoli affrontare le incognite di un viaggio verso la terra di Tunisi dove essi contavano di approdare, decisi però a proseguire non importa verso quale altra costa straniera se l’approdo a Tunisi fosse loro impedito.

Navigazione fortunosa. Già due incidenti si erano prodotti alla messa in moto del motore. Politi aveva avuto strappato un pezzo di carne del polpaccio da un ingranaggio del motore e Burgio era stato colpito alla coscia destra e al ginocchio da un ritorno della manovella. Cose da nulla, purché andasse. La navigazione non subì sosta per questo.

La barca filava ora nella notte lungo la costa montuosa  di capo Passaro. Ma ecco che ad un tratto il motore dà segni inquietanti d’irregolarità. Burgio osserva. Poca cosa: una semplice saldatura da fare. Si improvvisa allora un fornello a benzina per riscaldare il saldatore. La saldatura è presto fatta. Ma l’imprevisto si  produce terribile e improvviso. Un’inavvertenza e una latta di benzina si rovescia e s’accende al contato col fornello. La barca fiammeggia. Gli uomini non si perdono d’animo e soffocano il rogo incipiente con la tenda  del battello.

 

IN BOCCA AL LUPO

Si riparte un poco sconfortati per un’avaria subita dalla bussola e per la rovina dei pochi effetti personali. Ci si affida alla sorte. Si viaggia tutta la notte su di una rotta di fortuna. Alle prime luci del giorno avvistano una terra. Cap Bon! Sospirano. Non potevano essere meglio assistiti dalla fortuna. V’è un dio per i fuggitivi. Cercano un approdo e filano a pochi metri dalla costa nuda e rocciosa. E’ mezzogiorno. Finalmente vedono profilarsi una casetta entro terra. Pensano di scendere colà e drizzano la prora a quella parte. In quel mentre scorgono una barca a remi con due pescatori. L’abbordano per domandare in qual punto della costa si trovassero.

A Lampedusa – risposero i due pescatori.

I cinque si scambiarono uno sguardo di terrore. Per fortuna non un “mas”, non una vedetta intorno. Probabilmente era quello il tratto di quell’isola di deportazione meno vigilato dalla polizia fascista. Spiegarono tutte le vele e diedero tutto il motore: la barca a sobbalzo sulle onde e si allontanò come una freccia dall’isola che per poco non rappresentò il termine pietoso dalla loro drammatica avventura.

 

A DISCREZIONE DEL MARE

Eccoli di nuovo in alto mare. L’isola paurosa è scomparsa all’orizzonte. Si naviga senza una giusta direzione, quasi a caso pel Mediterraneo. Passano quasi 48 ore. Intanto incominciavano a mancare i viveri, quel che era più grave,  incominciava a mancare la benzina. Già avevano provveduto ad aumentare la dotazione  d’acqua aggiungendovi l’acqua … di mare.

L’alba del giorno 24 li trovò in pieno Mediterraneo. Il tempo, che fino ad allora era stato abbastanza buono, cambiò improvvisamente. Un gran vento gonfiò il mare ed essi fecero appena in tempo di ammainare la vela e ridurre il motore.

La navigazione diventa difficilissima e pericolosa. Si combatte tutto il giorno con le onde. Al calare della notte, il temporale incalza. Si giudica prudente spegnere il motore e affidarsi alla discrezione del mare in attesa della bonaccia. Al mattino il vento cadde e il mare si placò. La navigazione poté essere ripresa.

 

SULLA COSTA TUNISINA

Finalmente a mezzogiorno del giorno ventisei i fuggiaschi esausti, avvistarono la costa della Tunisia. Questa volta non ci furono sgradite sorprese. Alle ore diciotto approdarono a Sellakta.

Non mangiavano e non bevevano da due giorni. Un arabo del luogo, Mohammed-men-Abdalla Bukris di cui i cinque serbano grata memoria, li accolse umanamente offrendo loro da bere e una zuppa per rifocillarsi.

Ritornati alla barca e sicuri oramai di essere al riparo di ogni sorpresa, i cinque compagni, stanchi e affaticati, vi si riposarono passando tutta la notte a secco presso la spiaggia.

Il mattino appresso, non avendo più benzina, e non essendovi vento per le vele per proseguire per Mekdia che l’arabo aveva loro indicato, due di essi decisero di raggiungere a piedi questa località mentre gli altri tre avrebbero proseguito a remi lentamente. Fortuna volle che i due incontrarono due gendarmi francesi, i quali, saputo che si trattava di due profughi politici,  li accolsero benevolmente e inviarono una motobarca incontro al battello dei fuggitivi per farlo rimorchiare fino a Mekdia. Da Mekdia gli agenti li tradussero in autobus al Commissariato  di polizia di Susa dove ebbero l’onore di una visita di quel viceconsole fascista il quale li consigliò “ fraternamente” di ritornare in Italia dove si sarebbero potuto giustificare dicendo di avere di  voluto fare una gita di piacere e di aver perso la via del ritorno.

Attualmente questi cinque profughi si trovano  a Tunisi in attesa di regolarizzare la loro situazione di fronte alle autorità francesi della Reggenza. Tre di essi sono operai specializzati: Burgio Giuseppe meccanico, Marcello Cicero verniciatore e costruttore di sedie, Miceli Luciano elettricista. Il Politi Giuseppe è marinaio navigante e Vella Natale barbiere.

 

QUALCHE NOTIZIA

Abbiamo fedelmente riprodotto il racconto che i cinque operai ci hanno fatto della loro rischiosa impresa e come noi, così tutti i lettori si indugeranno pensare sulle cause che hanno spinto questi uomini ad abbandonare clandestinamente e in circostanze drammatiche il suolo della patria. Questi uomini ci offrono con la loro fuga dall’Italia una prova di più di quelle che sono le condizioni attuali del popolo italiano sotto il regime fascista. Come loro sono migliaia quelli che vorrebbero lasciare l’Italia dove ormai non si vive più non si respira più.

La situazione della media è particolarmente spaventosa dal punto di vista politico che morale ed economico.

La narrazione che i cinque profughi descrivono è un quadro di una tristezza desolante. Il lavoro è divenuto un mito. Quel che c’è di vero e reale è l’oppressione politica ed il peso schiacciante della miseria e della fame. …

E’ una catena di rovine che trovano nelle implacabili necessità della vita le più impensate risorse. Le cause economiche si riducono anch’esse ad una lustra. E sono un mezzo di illeciti guadagni per gli  organizzatori. Esse danno una cucchiaiata di zuppa e un pezzo di pane ma neppure tutti i giorni e soltanto dopo reiterate domande e raccomandazioni.

Tutto è immobile. Tutto è come cristallizzato. A Siracusa si vedono intere famiglie aggirarsi sulle banchine del porto sperando qualche soccorso dai piroscafi che attraccano e dai quali spesso ottengono i residui della cucina. I contadini che abitano nelle campagne non guadagnano più di quattro lire al giorno lavorando dall’alba al tramonto. Quelli della città sono pagati con una decina di lire. …

Si vive senza domani in una incertezza che ha del tragico. Ed in questa atmosfera triste e soffocante l’ombra della polizia che non da tregua e le smanie dei fanatici che riempono i muri di scritti guerrieri 

 

Oggi invero il fenomeno delle migrazioni nella regione euro mediterranea ha raggiunto misure bibliche come quotidianamente ci ricordano i mass media: supereremo il mezzo milione di profughi con già oltre tremila morti a inizio ottobre di quest’anno, per cui il Mare Nostrum sta  drammaticamente diventando un “cimitero liquido”, a detta di molti osservatori. Inoltre in questo mare, il fenomeno migratorio ingigantitosi in misura inattesa in queste ultime decine d’anni, soprattutto dopo la decolonizzazione degli anni cinquanta e sessanta, ha preso direzioni del tutto opposte. Il flusso migratorio che prima andava da Nord a Sud si è completamente invertito: dalle sponde sud-est del mondo arabo-musulmano – dal Marocco al Medio Oriente - le folle dei migranti vanno verso Nord, cioè verso l’Europa che si presenta come la terra della speranza e della libertà.

Ma in quali condizioni hanno luogo queste migrazioni odierne? Al di la delle inevitabili sofferenze fisiche e morali del distacco dal proprio paese a causa della miseria o delle guerra civili, e delle peripezie della  traversata tanto di ieri come di oggi, si aggiunge un’altra forma odierna di sfruttamento di questi migranti:  l’odioso business  degli “ scafisti” che non ha limiti nel suo genere.  E’ una vera tratta che colpisce centinaia di migliaia di migranti che non hanno altra scelta per giungere sulle coste europee senza avere la matematica certezza di approdarvi sani e salvi poiché per lo più essi vengono abbandonati in alto mare in balia delle onde, soccorsi  sia  dalle navi della guardia marina Italiana dell’operazione Mare Nostrum, sia da quelle europee dell’operazione Triton e Frontex. Tuttavia non mancano tragici drammi con centinaia di annegati come quelli di Lampedusa del 2013 e quelli di aprile 2015, o il tragico caso di Aylan il bambino siriano di tre anni ributtato senza vita sulla spiaggia turca della città di Bodrum, diventato il tragico simbolo della violenza sugli innocenti.

Infine vi è oggi la problematica questione dell’accoglienza in cui i paesi dell’UE si dibattono tra coloro che  erigono muri contro l’immigrazione e quelli che accolgono positivamente queste masse di profughi,  memori dei valori della loro civiltà improntata al rispetto dei diritti umani. Nell’articolo qui riportato, attiriamo l’attenzione del lettore su certi dettagli del racconto fatti da parte del cronista sui profughi, ad esempio, “che fuggono nottetempo il suolo della patria come si fugge da una vigilata galera”, o quando evidenzia l’aiuto dato dall’arabo tunisino ai cinque siciliani e l’attenzione delle istituzioni nei loro confronti: “un arabo del  luogo … li accolse umanamente offrendo loro da bere e una zuppa per rifocillarsi ...  i gendarmi francesi li accolsero benevolmente …”. Ieri come oggi la storia degli uomini c’insegna che l’Altro, lo straniero, il diverso fa parte della nostra umanità, come ci ricorda il sociologo F. Cassano quando afferma che “Il nostro noi è solo uno dei tanti noi esistenti”

(Un ‘pensiero mediterraneo’  che ama le differenze in:

www.reset.it/articolo/un-pensiero-mediterraneo-che-ama-le-differenze ).

Non ci stanchiamo quindi di ripetere, insieme al grande storico di questo mare, F. Braudel, che “ la Méditerranée est telle  que la font les hommes”.

 

Michele Brondino e Yvonne  Fracassetti

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