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Cultura
Il Popolo dell’Arca” si svolge al Salone Centrale del Complesso del Vittoriano in occasione del Centenario della commemorazione del Genocidio armeno ed è promossa dal Ministero della Cultura armeno, dall’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia e dall’Ambasciata della Repubblica d’Armenia presso la Santa Sede e SMOM, in collaborazione con la Congregazione Armena Mechitarista. A cura dell’Unione Armeni d’Italia, l’esposizione è un fulgido esempio di sinergie tra istituzioni armene e italiane. La consulenza curatoriale è di Vartan Karapetian, l’organizzazione e la realizzazione si devono a Comunicare Organizzando. L’Armenia, che vanta una delle più floride culture del mondo antico, ha una storia ricca di fascino che affonda le sue radici nella tradizione biblica del Diluvio Universale, emblema di rinascita e di nuova vita. E’ proprio alle pendici dell’Ararat, sulla cui cima si era arenata l’Arca di Noè, che nel VII sec. a.C. si formò il popolo armeno. Ancora oggi il monte Ararat è un richiamo simbolico fondamentale per l’Armenia, che nel 301 d.C. fu il primo paese al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di Stato. L’Armenia è un incredibile intrecciarsi di tradizioni, cultura e religione, fattori che hanno contribuito alla costruzione e al consolidamento degli stretti legami tra gli armeni e l’Italia. Sono venti secoli di contaminazioni culturali: dall’albicocca, armellino in Veneto, portata nell’antica Roma da Silla con il nome di prunus armeniaca, fino ai mercanti armeni nelle Repubbliche Marinare, dagli ideali rinascimentali italiani che hanno raggiunto la lontana Armenia, fino alla fiorente attività editoriale degli istituti culturali armeni in Italia. L’esposizione si articola in sette sezioni ricche di reperti archeologici, codici miniati, opere d’arte, illustrazioni e documenti. Nella prima sezione i visitatori si immergono negli elementi che caratterizzano la cultura armena, di cui la storia del Cristianesimo e i costanti richiami biblici sono una parte costitutiva degli ultimi due millenni. Il monte Ararat, ceduto alla Turchia con i trattati internazionali del 1921 e 1923, continua ancora oggi a costituire un simbolo dell’Armenia, una forte fonte di spiritualità e di fioritura artistica. La seconda sezione descrive la conversione degli armeni alla religione cristiana, anche attraverso la ricostruzione scenografica di un altare, con flabelli, incensari e capitelli. La mostra racconta, in modo particolare, l’Armenia cristiana. Infatti fu proprio con la conversione al cristianesimo al principio del IV secolo e con la traduzione delle Sacre Scritture in lingua armena, che la storia del popolo armeno conobbe una svolta fondamentale. Il racconto per simboli continuerà nella terza sezione dedicata all’iconografia della croce (esposte, tra le altre, una croce in pietra del VI-VII secolo e la croce con reliquie di San Giorgio del 1746); quarta e fondamentale sezione sarà quella sulla nascita e la codificazione di un nuovo alfabeto a opera del monaco Mesrop Mashtots, attraverso epigrafi e iscrizioni originali e con l’utilizzo di apparecchiature multimediali, che permettono al pubblico di partecipare attivamente alla conoscenza della lingua armena, ascoltandone la pronuncia. La quinta sezione è incentrata sulle arti e l’architettura: tra le culture del Cristianesimo orientale, quella armena ha da sempre spiccato per la sua notevole originalità e capacità di simbiosi tra influssi bizantini, islamici ed occidentali. Qui è esposto, tra le altre opere, il preziosissimo Vangelo della Regina Mlke, risalente all’anno 862. Quest’anno ricorre il centenario del genocidio che nel 1915 portò alla deportazione e all’annientamento del popolo armeno nell’Impero Ottomano, commemorato il 24 aprile: la mostra “Armenia. Il Popolo dell’Arca” prevede, nella sesta sezione, uno spazio in cui sarà possibile visualizzare, grazie a materiali multimediali, la storia dell’eccidio e della solidarietà italiana nell’accoglienza dei sopravvissuti al genocidio. La settima sezione è dedicata ai rapporti tra l’Italia e l’Armenia e alla ricchezza storica e artistica della presenza armena nel nostro paese, a partire dal tardo Medioevo, periodo in cui l’Italia è al centro di importanti relazioni mercantili tra l’Europa e l’Oriente. Fiorenti comunità armene nascono e si sviluppano a Venezia, Livorno, Genova, Roma, Bologna, Milano, Napoli e Padova. Un viaggio sulle orme di monaci, mercanti, artisti e scrittori che portano il visitatore alla scoperta dei tesori del Monastero mechitarista di San Lazzaro a Venezia e dei tesori armeni conservati in Italia. Immagini e documenti storici fanno da supporto introduttivo ad alcuni preziosi reperti della cultura armena, di alto valore simbolico, che, tratti in salvo con gesti di eroismo, hanno acquistato nuova vita in Italia. Il dolore di alcune tragedie, anche dopo secoli, non basta per ricordare le stragi che sono state commesse e, ancora più grave, è il non voler riconoscere da parte del carnefice l’esserne stata la causa. L’Armenia, dopo cento anni, rivive questa drammatica ricorrenza con la dignità di un popolo che ha subito il massacro di un milione e settecento armeni. Il primo genocidio, avvenuto nel 1915, nella storia del secolo XX ricordato come uno dei più “sanguinari” per il sangue innocente versato tra guerre, rivoluzioni, genocidi, pulizie etniche e persecuzioni in tutto il mondo. Il genocidio armeno, fino a pochi decenni fa, era poco conosciuto, la storia non informava per la censura di alcuni Stati negazionisti e per la volontà di tenere nascosto all’opinione pubblica questo eccidio. Le parole di un Papa gesuita, che senza giri di parole, ha definito quello degli armeni “un genocidio”, ha innescato una vana ed insensibile polemica che non riscatta lo Stato che l’ha commesso. Anche gli Stati Uniti hanno sottolineato che il massacro di un milione e settecento armeni è “un fatto storico”, ribadendo che “fare luce” su quel periodo è nell’interesse di tutti. Tre anni fa sono stata in Armenia proprio nel periodo in cui si commemorava lo sterminio. Mi sono recata a visitare il “Memoriale”, il cui viale era ricoperto di petali di fiori e giovani armeni ce ne offrivano per depositarli sul sacrario; ho provato tanta commozione, è stata veramente un’emozione profonda. Il Memoriale è situato sulla Collina di Tsitsernakaberd (Fortezza delle Rondini) ed è stato costruito nel 1967. Nell’atrio è allestita una mostra permanente con quadri che raffigurano sopravissuti nudi ridotti alla disperazione, l’ultima immagine è un ingrandimento fotografico di un orfanatrofio in Siria subito dopo il genocidio. Quando si esce dal museo la splendida visione del Monte Ararat ti rallegra il cuore e la vista è allietata da un filare di alberi piantati dai leader stranieri in visita a Yerevan, in ricordo delle vittime del genocidio. Dal museo parte un ampio viale fiancheggiato da un muro lungo cento metri su cui sono scolpiti i nomi delle comunità massacrate. Il Memoriale ha una caratteristica architettura: comprende una guglia di quaranta metri, posta a fianco di una fiamma eterna circondata da dodici alte lastre di basalto,inclinate verso l’interno, formando un cerchio al centro del quale arde la fiamma eterna, in ricordo delle vittime. Le dodici lastre rappresentano le province perse dall’Armenia occidentale, mentre la guglia, che simboleggia l’Armenia, è formata da due parti strettamente avvinte, tra loro la più piccola delle quali rappresenta la martoriata Armenia occidentale. Visitare questa mostra, per me, è stato come ritornare a visitare l’Armenia, ho rivissuto tante belle emozioni, ho ricordato la gentilezza di quel popolo, la loro dignità ed il loro orgoglio, mi sono persa nella spiritualità dei tanti e bellissimi monasteri che arricchiscono questa Terra. Adriana Capriotti
Codice armeno
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