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In Tunisia
Dopo circa sei mesi la Tunisia ha pianto la sua seconda vittima politica. Lo scenario dell’omicidio è stato identico a quello del 6 febbario scorso quando venne ucciso Chokri Belaid, ed identiche supponiamo esserne le motivazioni. Due politici vicini al popolo, due membri del Fronte popolare colpiti forse per indebolire l’opposizione che con fatica stava tentanto e forse riuscendo, ad ottenere consensi ed unirsi in una coalizione capace di fronteggiare gli islamisti nelle prossime elezioni. Uguale, se non maggiore, è stata anche la partecipazione della società civile all’ultimo saluto a Brahmi. Il corteo funebre che ha accompagnato la salma il 27 luglio al cimitero d’El Jellaz, proprio accanto a Chokri Belaid, al termine delle essequie si è diretto al Bardo, dove ha sede l’Assemblea Nazionale Costituente e dove ha dato inizio ad un sit in ancora in corso mentre scriviamo. La folla immensa riversatasi al Bardo, e che è andata aumentando di minuto in minuto, è stata accolta dalle bombe lacrimogene delle forze dell’ordine. Forte il sentimento di accusa dei tunisini contro la Troika (Ennahda, CPR, Ettakatol) e soprattutto contro il partito di maggioranza Ennahda, ritenuto responsabile di entrambi gli omicidi e della situazione di instabilità del paese. Ad uno schieramento pacifico e disarmato, la cui sola richiesta continua ad essere lo scioglimento dell’attuale governo (Al cha3b yourid Is9at annidham -Il popolo vuole la caduta del governo), si è opposto un apparato di sicurezza gratuitamente violento. Testimonianze verbali, scritte e filmate, hanno riportato nel dettaglio le aggressioni e la ferocia di cui i manifestantio sono stati oggetto. E non solo. Si è parlato di polizia parallela, di polizia contro polizia, di leghe di protezione della rivoluzione presenti per seminare il caos, di totale assenza del rispetto dei diritti umani. Nelle ore seguenti la pressione popolare, i messaggi di sdegno delle maggiori organizzazioni che si occupano di diritti umani e la ferma condanna contro le aggressioni ad alcuni membri dell’ANC, e forse il timore di un inasprimento della situazione, hanno indotto ad un “dietrofront” delle forze di sicurezza. Il 28 luglio il Ministero dell’Interno ha autorizzato il sit-in, le tende allestite e smantellate, sono state riallestite; è stata garantita la protezione dei manifestanti e dulcis in fundo, i poliziotti hanno offerto fiori in segno di scusa. La seconda giornata è trascorsa quindi in un clima per lo più sereno, con le migliaia di manifestanti anti-governo da un lato e le poche centinaia pro-governo dall’altro, fino all’interruzione del digiuno collettivo in presenza delle famigle Brahmi e Belaid, che per quanto criticato da una parte dell’opinione pubblica, ha chiamato a raccolta oltre 25.000 persone, un segno tangibile della solidarietà e della volontà di cambiamento. Il mondo politico da parte sua ha iniziato ad avere i primi segni di cedimento. Alcuni deputati dell’Assemblea Costituente hanno congelato la loro attività in seno a quest’ultima nel tentativo di raggiungere il quorum necessario per bloccarne i lavori ( 1/3 di 217) e si sono uniti al sit-in. Il Premier Ali Larayed ha difeso la legittimita' del governo ed ha richiamato al dialogo quale soluzione civile. "Non è accettabile che poche persone in piazza decidano in nome del popolo intero" Noi applicheremo la legge" "il dialogo non è per le strade, ma sui tavoli della politica". Laarayed ha inoltre annunciato la presentazione definitiva della Costituzione entro un mese e libere elezioni per il 17 dicembre. Il leader di Ennahda Rached Ghannouchi ha paragonato la dissoluzione dell' ANC ad un tetto che cadra' sulla testa di chi la chiede. Il Presidente dell’ANC Ben Jafaar ha invitato i deputati “dimissionari” a ripensare alla loro scelta ribadendo l'importanza dell'assemblea, ha promesso di finire i lavori entro il 23 ottobre ed ha sottolineato ancora una volta l'importanza del dialogo nazionale. Hamma Hammami, leader del Fronte Popolare ha auspicato invece la formazione di un eventuale governo di salvezza nazionale che escluda i partiti della troika e che conduca il paese a nuove elezioni, dopo l’elaborazione della Costituzione. Uno scenario alquanto confuso ed instabile, sia a livello civile che politico, che si è andato a peggiorare nella serata del 29 luglio. Un attacco terroristico sul monte Chaambi, dove da mesi l’esercito è impegnato in operazioni di sminamento, ha fatto 8 vittime e 3 feriti: giovani militari spogliati delle loro uniformi, seviziati ed alcuni sgozzati. La Tunisia ha pianto ancora, e ancora si è stretta in un cordoglio collettivo ma anche di resistenza ad oltranza. Ancora una volta è stato il partito Ennahda il primo indiziato. E ancora una volta Ennahda si è difeso. Ha chiamato in causa il gruppo terroristico Al Qaeda Maghreb e gruppi terroristici algerini, ma ciò che non ha fatto, è stato esaudire le richieste di un Paese intero, del suo Paese. Un Paese diviso, un paese che soffre e che ha subito gravi perdite. Un paese che ha creduto in una rivoluzione, nella caduta di un regime, e che si ritrova ora vittima di un altro governo dispotico, tanto interessato a portare a termine il suo progetto da non interessarsi dei suoi cittadini. Si è parlato di complotti, di ritorno dell’RCD (partito dell’ex Presidente Ben Ali), di ingerenze straniere, di rapporti poco chiari con USA e Israele, di piani di islamizzazione dei paesi della cosiddetta primavera araba diventati ormai incontrollabili, ma ciò che si è omesso o ignorato è il popolo. Il popolo non avrà mezzi e forze materiali necessarie, ma ha, come diceva Jean Jaures, ciò che occorre ad una rivoluzione, la coscienza. Le richiesta della società civile è una e chiara: Al cha3b yourid Is9at annidham. Il governo non ha alcuna legittimità, ha fallito la missione affidatagli il 23 ottobre 2011, ha governato pur non essendo legittimato a farlo per un periodo superiore a quello stabilito, e ancor più grave, non ha assicurato la sicurezza dello Stato. La crisi che si è creata è difficile da sanare. Esiste il rischio di uno scenario del tipo egiziano, o ancora, e forse peggio, del tipo algerino? Nel silenzio quasi assordante dei media italiani e stranieri in generale, di quell’altra sponda del Mediterraneo laico e democratico che si interessa della riva sud solo quando ne può trarre profitto, non ci resta che attendere e confidare nella maturità e nelle smisurate risorse del popolo tunisino. M.P.
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