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  Nel Mediterraneo-Maghreb
 763 - Pensieri Euromediterranei...

 

Il Forum della cooperazione internazionale, svoltosi a Milano l’uno ed il due ottobre scorso, è stata l’occasione per verificare l’attuale stato della Cooperazione italiana, tra enti donatori, agenzie di sviluppo ed operatori del settore, che negli ultimi cinque anni hanno visto ridurre il budget stimato dal Governo dai 732 milioni di euro stanziati nel 2008, agli attuali 86 milioni previsti per il 2012.

Parlare di cooperazione oggi significa parlare di dialogo, di un modo costruttivo di intendere la crescita sociale, economica e politica della maggior parte dei paesi del mondo, che viaggiano a velocità nettamente inferiori rispetto a poche nazioni detentrici delle maggiori ricchezze, in capitali ed in qualità di vita.

Si deve dunque intendere il futuro della cooperazione come uno strumento non più di mero sostegno e solidarietà tra i popoli, che nei decenni ha mostrato il fianco a giudizi severi sulla reale capacità di crescita che questo metodo ha trasmesso ai diretti beneficiari, ma piuttosto una cooperazione vista come modello di investimento, associata ai canali commerciali. Un modo per rafforzare settori economici con importanti margini di sviluppo e praticamente illimitati.

Pensare ad una cooperazione per lo sviluppo sempre più legata ai canali commerciali, se da un lato trova una certa applicazione su base euro – mediterranea, puntando per esempio ai mercati nord africani come risorsa ulteriore per rilanciarsi economicamente, dall’altro allontana la nostra presenza nelle zone più remote, oggi più che mai piegate da guerre civili impietose, da disastri naturali (comunque spesso indotti dall’incuria dell’uomo), e dalla moria di fame. Paesi che oggi non possono offrire controparti commerciali, e dunque interessi reciproci. Lontano dall’idea di una mera sussistenza unilaterale, l’Italia non può voltarsi solo verso il Mediterraneo e l’Africa – come prevede l’apertura di una nuova Unità tecnica nel Burkina Faso – e pensare che altrove si possa intervenire con le sole missioni militari. Non dobbiamo confondere le missioni militari con quelle allo sviluppo o emergenza. Sono due azioni interpretate e implementate in modo totalmente diverso, e non tragga in inganno la distribuzione di beni di prima necessità operata dai contingenti italiani all’estero.

In Italia, la cooperazione allo sviluppo ed emergenza è fatta oggi da quasi 300 ONG ed ONLUS, da più di seimila operatori umanitari italiani sparsi nel mondo, e da una idea di sviluppo che nulla ha a che vedere con l’assistenzialismo unilaterale. Una tradizione che negli anni è stata piegata, ma non spezzata, da infelici decisioni di governo che hanno preferito tagliare certi fondi piuttosto che altri. Ricordiamo che l’Italia garantisce poco più dello 0,1% del PIL alla cooperazione, a fronte del previsto 0,7%. Un ruolo internazionale fortemente ridimensionato che ha spinto molti organismi italiani del settore a rivolgersi ad enti donatori esteri, promuovendo però l’immagine di altri.

Probabilmente, al di la delle scelte governative certamente influenti, in Italia manca la cultura della cooperazione. Correre ad inviare un sms solo quando immagini di disastri naturali colpiscono luoghi lontani non è sinonimo di costante attenzione al tema della cooperazione. Offrire più spazio mediatico e politico a chi opera da decenni nella cooperazione permetterebbe una più larga diffusione di un metodo, quello della cooperazione, che può avere un impatto più determinante di coloro che pianificano ed operano a favore dei conflitti etnici e religiosi. Un modo per rendere i popoli più vicini, nel rispetto delle loro diversità.

 

Alfredo Lo Cicero

Country Representative CESVI

Sud Sudan

 

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