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Cultura
due quasi favole di mino rosso |
nel paese di noi-che-siamo-chi
vi racconto questa favola così come l'ho sentita. ma non so né dove né quando. le parole sono come il vento. vanno un po’ di qua un po’ di là. e io, attento, le raccolgo per poi portarle agli altri. allora, nel paese di noi-che-siamo-chi (che non è in cina) (e nemmeno su questa terra) viveva gente sprecona. un po’ come da noi un po’, perché almeno qua non tutti, per fortuna, sono così. ma nel paese di noi-che-siamo-chi lo erano proprio tutti. per gli abitanti di questo strano paese l'unico loro interesse era guadagnare. guadagnare sempre di più per comprare. comprare sempre di più. buttando via tutto quello che non era più nuovo. della cosa erano scontente soprattutto le cose che si vedevano gettate via anche quando a loro sembrava di essere ancora belle e di potere ancora servire. un giorno, a noi-che-siamo-chi arrivò dal paese di chissadove una bambolina di stracci. forse non era un gran che bella. ma certamente affascinante. tant'è che tutti si accorsero di lei. non poteva passare inosservata. lei era così stracciona. e fiera di se. - qui sono tutti impazziti - si disse - bisogna che le cose cambino -. la prima cosa da fare quando uno vuole cambiare le cose è farsi amico. qualcuno con il quale condividere l'idea. non ci volle molto a trovarne. tutti gli oggetti che incontrava non erano per niente soddisfatti della loro vita. la loro vita era bella. si trovavano sempre in un mondo nuovo ma purtroppo quando incominciavano a capire era già arrivato il tempo d'essere buttati là. così non si aveva il tempo di invecchiare. si moriva giovani senza che qualcuno avesse loro insegnato a vivere. e senza che loro avessero insegnato a qualcuno a vivere. questo era il loro mondo e lo accettavano così com'era. anche perché non avevano avuto modo di conoscerne un altro. ma proprio da quella bambolina da quattro soldi, e altrettanti amici, incominciò un tempo nuovo dove i rifiuti si trasformavano, quasi per magia, in sogni. In strani sogni veri. ogni cosa che veniva rifiutata diventava ciò che aveva sempre voluto essere e non aveva mai potuto. dimenticavo di dire che a noi-che-siamo-chi tutto era terribilmente ordinato (l'ordine non è una brutta cosa, anzi, ma il troppo ordine diventa una mania). la gente di noi-che-siamo-chi viveva su un alto cono, che ricorda le nostre montagne, in mezzo al verde di alberi tutti uguali. così uguali da sembrare finti. ed è proprio in mezzo a quegli alberi che un giorno si ritrovarono la bambolina e i suoi amici per compiere la loro magia. lei rimase la stessa (a dire il vero sui suoi quattro stracci aveva buttato, con maliziosa non curanza, un pezzo di giallo-sole) mentre gli altri, gli amici, lentamente si trasformarono nel loro sogno. una scatola di cartone, ancora giovane (alta un soldo di cacio) e per niente da buttare, si pitturò con l'aiuto di tutti i colori (i colori aiutano sempre a vivere) si trasformò in una - boîte - (che vuole dire scatola in francese. era per darsi un po’ di arie). un metro di spago (che vuole dire uno spago lungo un metro), pallido e magrolino, incominciò a cercare pezzetti di vetro colorati con un foro al centro. nel paese di noi-che-siamo-chi non conoscevano le perle. non c'era tempo per le cose inutili, secondo loro. e, trovateli, diventò ora collana ora braccialetto a seconda della sua lunghezza. la gente deve essere anche un pochino elegante. è proprio monotono un mondo tutto in grigio serio. e ancora, un semplice foglio di carta, buttato in un angolo anche se senza un solo scarabocchio sopra, incominciò a piegarsi e ripiegarsi (come un saltimbanco) dando vita a splendidi origami. non si curava di quello che la gente pensava di lui. probabilmente lo stavano prendendo per matto. perché, a noi-che-siamo-chi, era matto tutto ciò che non serviva per creare denaro. e quel foglio di carta creava solo forme. forme così belle che poi finirono nelle case come oggetti d'arte. ma queste solo più avanti nel tempo. credo. mentre tutto questo accadeva, il cono si trasformava poco a poco, perdendo la sua superficie regolare, per diventare disordinato ma affascinante come le nostre montagne. gli alberi perdevano la loro forma unica. diventando uno diverso dall'altro. proprio come da noi. da quel giorno noi-che-siamo-chi divenne un paese vero, dove la gente incominciò imparare a vivere. e tutto questo perché i rifiuti avevano deciso di diventare il loro sogno. complice quella bambolina, da quattro soldi e impagabile, venuta da chissadove. io non so se in quanto vi ho raccontato c'è dentro una qualche idea importante. se c'è, e io credo ci sia, il vento prima di andarsene non me l'ha detta. dovete quindi cercarla voi. ma è ora che io vada. sapete, lui, il vento, mi aspetta. e se qualcuno vi chiedesse chi vi ha raccontato questa favola ditegli che c'è stato mino lì con voi. poi se n'è andato.

la bambola, il soldatino e la rana
sono presuntuoso. è l'unico merito di cui posso vantarmi. da soldatino semplice avrei potuto diventare comandante di un battaglione. e fare la guerra per finta. noi soldatini di piombo non abbiamo né patrie da difendere né terre da conquistare. per questo mi ero arruolato. e sarei diventato chissà chi se non avessi incontrato sulla mia strada una rana. ricordavo di un principe triste (la vita non è sempre allegra) (neanche per chi ha tutto) che baciò sulla bocca una rana che per incanto si trasformò in una meravigliosa fanciulla. naturalmente divenne sua dolce sposa (le spose dei principi sono sempre così dolci). disertore le corsi dietro non so per quanto tempo. sino a quando mi riuscì di baciarla. non successe niente. tutto il solito insolito succede sempre e solo nelle favole. non le portai rancore. Lei era ciò che era. e così io. non ero, non sono mai stato, un principe (tanto meno azzurro). imparai che non bisogna perdere tempo nel baciare una rana. Iniziai a girare il mondo senza sapere dove stavo andando. a volte poco importa sapere quale strada si prende. Importa non fare del male agli altri e a se stessi. venne poi il giorno in cui incontrai una bambola fatta di stracci. della principessa sognata, in un sogno ormai lontano, non aveva niente. eppure. il mondo è pieno di cose che accadono senza che se ne conosca il perché. in amore poi. d'altronde io non ho mai fatto i conti. ho sempre pagato in cuore sino all'ultimo spicciolo. l'ho amata come si amano le cose inutili. si dovrebbero amare solo loro, il resto è baratto. non le regalai l'anello d'oro di circostanza. legai al suo dito una striscia di tela dall'inutile blu. ma dell'amore straccione di un soldatino dal cuore di piombo non è bene parlasse in questo giorno di festa di un inizio d'estate. c’è il sole. e tanto vi basti.

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Elia Finzi |

Tunisi 1923-2012
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