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  Dossier
 758 - Omaggio a Valenzi

 

LA MANIPOLAZIONE FASCISTA DELL’EMIGRAZIONE  ITALIANA

 o L’INESORABILE AGONIA DELLA COLLETTIVITÀ ITALIANA DI TUNISIA

 

Silvia Finzi

 

«Durante gli anni del Protettorato, la sicurezza del paese e i capitali francesi avevano attirato un’emigrazione più popolare. Venuti senz’altra idea che quella di conquistarsi il pane, i nuovi arrivati avevano dato col loro lavoro un gran contributo allo sviluppo economico del paese. Unendo le loro forze e quelle dei connazionali che li avevano preceduti, avevano formato una collettività che, pur serbando un evidente spirito di italianità, aveva finito col possedere un carattere proprio, prettamente italo-tunisino, certamente più tunisino di quello della collettività francese... Nel giugno del 1940, questa collettività aveva raggiunto l’apice dello sviluppo. Ma il 10 giugno sarà la battuta d’arresto...»[1].



 

[1]Nullo Pasotti, Italia e italiani in Tunisia,ed Finzi, Tunisi, 1970, p. 126

 

Se il governo Crispi aveva tentato di manipolare l’emigrazione italiana trasformandola in un fattore di potenza, il fascismo maggiormente considerò il fenomeno migratorio come un utilissimo ed efficace mezzo per la diffusione della propria ideologia all’estero. In effetti, dopo aver sciolto le diverse società che si occupavano del fenomeno migratorio italiano come la Società Umanitaria[1](1924), il Commissariato per l’emigrazione[2](1927), l’Opera Bonomelli[3] (1928), il Partito fascista, iniziò una politica di propaganda destinata alle collettività italiane all’estero con lo scopo di politicizzarle e di potenziarle attraverso la costituzione di una vasta rete organizzativa che culminò con la creazione dei fasci italiani all’estero. Esaltando una politica nazionalistica di potenza basata sulla forza numerica degli italiani trovò nella collettività italiana di Tunisi, che aveva subito, dalla fine dell’800, una serie di misure vessatorie che si applicavano sia al ceto borghese sia a quello popolare, un spirito pronto ad accogliere una politica di revanchismo nazionalistico, che avrebbe cancellato le umiliazioni subite.

Il Consolato agì abilmente enfatizzando la dignità e l’italianità lesa della collettività. Operò rapidamente all’eliminazione di tutti i rappresentanti delle associazioni che non si allineavano al Regime, fece d’ogni manifestazione italiana una parata, promise al ceto operaio la sua tutela e la sua difesa in cambio della sua adesione alle file del Partito, creò una scuola serale del Dopolavoro che doveva aiutare l’operaio a migliorare il suo livello socio-culturale ma che era soprattutto scuola di reclutamento politico, organizzò per i giovani delle colonie estive in Italia in cui venivano sapientemente inquadrati, riportò a galla la questione della superiorità  numerica italiana  in Tunisia rispetto a quella francese che doveva naturalmente essere superiorità dell’Italia rispetto alla Francia. Rifiutandosi di considerare il fenomeno migratorio in quanto tale, trasforma i migranti in italiani all’estero 

Questa politica, se da una parte esaltava la dimensione demografica dell’Italia era anche l’espressione della politica di popolamento in atto nelle colonie laddove il governo italiano assicurava ai suoi industriali una mano d’opera numerosa ed a basso costo.

Nel suo discorso tenuto a Milano il 31 marzo 1923, in occasione della distribuzione di premi in favore dei partecipanti al Ciclo speciale per l’emigrazione, Mussolini dichiarava che l’emigrazione era una necessità fisiologica del popolo italiano poiché il territorio italiano non poteva da solo produrre sufficienti ricchezze per nutrire tutti mentre c’erano paesi che avevano un territorio doppio all’Italia e con una popolazione inferiore, con chiara allusione alla Libia, per cui concludeva alla necessità di espandersi come necessità vitale per la  razza italiana,«Dico bene espansione: espansione in tutti i sensi: morale, politico, economico, demografico»[4].

Il 28 aprile 1927 viene creata la Direzione generale degli Italiani all’estero che ha come scopo di  inquadrare, disciplinare, mantenere vivo il sentimento, il legame e l’amor  patrio degli italiani all’estero. Il termine emigrato  infamante per il Regime sparisce dal suo vocabolario.

La Direzione generale degli Italiani all’estero non limita la sua attività all’assistenza burocratica ed amministrativa dell’emigrato. Innanzi tutto questo termine deve sparire dalla terminologia italiana: non ci sono emigrati da una parte e cittadini dall’altra. C’è sempre ed ovunque, ricco o povero, manovale o intellettuale o turista, il cittadino italiano.[5] 

I Fasci all’estero hanno le mani libere guidati da Piero Parini, che otterrà dal Duce uno statuto speciale per inquadrare politicamente gli emigrati italiani. Ricevuto dall’allora Console d’Italia, Enrico Bombieri, a Tunisi, nel dicembre 1934, riorganizzerà la rete delle scuole italiane all’estero.

Tra gli anni ’30 e ‘40, salvo alcune voci dissidenti controllate congiuntamente dalle autorità consolari e dalle autorità francesi, l’opera di propaganda si può dire compiuta. Essa tocca tutti i ceti della popolazione, riuscendo ad operare anche all’interno dei gruppi della sinistra operaia e, creando questa schizofrenia d’interessi politici nella popolazione meno abbiente, contemporaneamente fascisti e sindacalisti.

Secondo le fonti italiane, alla fine degli anni ‘30, la collettività in Tunisia contava 150.000 persone e di 94.286 secondo le fonti francesi.  

Fino agli anni ’30-’40 lo sviluppo sociale, economico, culturale della collettività è stato costante, nonostante i tentativi di ridimensionamento che l’autorità francese cercherà incessantemente di prodigare dall’avvento del Protettorato sino agli inizi della seconda guerra mondiale, con misure che tentavano di arginarne l’importanza, di limitarne l’espansione, l’impatto e la coesione sul suolo tunisino, dagli anni ’40 in poi, e in specie dal ’43, si apre un periodo “di tristi memorie” nella storia complessiva della collettività italiana di Tunisia.

Se la «questione italiana» comincia a riacuirsi all’indomani delle convenzioni del 1896, trasformandosi progressivamente in «un’italianità in questione», gioco forza sarà della Francia e dell’Italia utilizzare la collettività come strumento della loro rivalità, la prima per affermare la sua definitiva supremazia in tutti i campi, da quello economico a quello culturale, la seconda perché non cesserà, seppure in maniera latente, prima del Fascismo, di alimentare il dissidio franco-italiano nutrendo questo sentimento di revanchismo e di affermazioni nazionaliste che si riveleranno in modo esplicito nelle mire espansionistiche e colonialistiche del governo fascista. Ma il fascismo troverà spunto alla sua “rivendicazione” in tutto il passato politico dell’Italia in Tunisia che in fondo non accetterà mai l’umiliazione subita all’indomani degli accordi del Bardo (1881) che sanciscono il Protettorato francese. La collettività subirà dolorosamente le conseguenze di questa rivalità pagando, con la sua stessa sopravvivenza, l’alto prezzo delle mire italiane sulla Tunisia.

L’italianità della collettività è stata, a sue proprie spese, un abile strumento delle mire italiane in Tunisia.

Nonostante cio’, voci autorevoli si eleveranno per contrastare la politica fascista del Consolato e la sua manomessa sull’insieme delle istituzione storiche che avevano fatto la grandezza della collettività tra cui l’Ospedale italiano, la Camera di Commercio, la Dante Alighieri ecc. Dapprima di matrice massone come ce lo ricorda la ricercatrice Leila El Houssi nel suo articolo “Gli antifascisti italiani in Tunisia tra le due guerre” ( in Altreitalie), l’antifascismo si esprimerà attraverso la voce dell’ex segretario della società Dante Alighieri, Domenico Scalera, noto massone, professore e direttore del giornale La Libertà(1924-25) seguito  da La Voce Nuova(1930-33) diretto da Vincenzo Serio e Giulio Barresi, Presidente della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (LIDU), massoni ambedue e particolarmenti virulenti contro il fascismo dopo lo scioglimento  del Grande Oriente in Italia nel 1925. Altre testate antifasciste furono Trieste, diventato antifascista dal ‘24 al ’27 data alla quale cessa le sue pubblicazioni, Il Vespro anarchico ,diretto da P.Schicchi, (1924), La Voce Italiana in Tunis Socialiste (1929), organo dei Liberi italiani dell’Africa del Nord, L’Eco d’Italia, Organo liberale democratico italiano (1932) diretto da Giulio Barresi (citato da Michele Brondino), Domani(1935) Rassegna libera di idee, uomini e cose, diretto da A.Casubolo , Il Liberatore, Organo del gruppo italiano del partito comunista di Tunisia (1935), giornale clandestino e ciclostilato, La nostra lotta (1940), giornale clandestino del partito comunista tunisino, Avanti (1943), Organo dell’unione giovanile socialista italiana di Tunisia, giornale clandestino e ciclostilato,  Il Soldato di Tunisi (1943), Organo dei giovani comunisti in uniforme, giornale clandestino, ciclostilato, Appello ai giovani italiani(1943), giornale clandestino, ciclostilato, Giovani (1943),clandestino, ciclostilato, La Nostra Voce(1943), ed infine La nostra lotta (1943)(vedi M. Brondino,L’elenco cronologico dei periodici in lingua italiana editi in Tunisia 1838-1956 in La stampa italiana in Tunisia,ed Jaca Book,1998 , PP179-205)

I liberali guidati da Guido Levi ed i socialisti furono anche particolarmente attivi . Essi pubblicheranno, dal 1929, una rubrica bi-settimanale sul  giornale francese Tunis Socialista, che avrà per titolo La Voce degli italiani, Organo sei liberi italiani dell’Africa del Nord. Giulio Barresi in particolare ebbe un ruolo fondamentale nel collegare gli antifascisti di Tunisia con quelli di Parigi e più specificatamente con il gruppo Giustizia e Libertà di cui faceva parte.

“Nella Lega confluirono inoltre un nucleo di socialisti, tra cui Enrico Forti, che si raccolsero intorno ad Alfonso Errera, e un consistente gruppodi anarchici guidato da Gigi Damiani, in cui fi guravano personaggi come Nunzio Valenza, Giovanni Salerno, Andrea Cuttone e Giuseppe Casotti. La sezione tunisina della LIDU avviò anche stretti contatti con le rappresentanze sindacali, stabilendo rapporti unitari nel denunciare le intimidazioni del regime.Tuttavia, gli interpreti dell’antifascismo italiano in Tunisia non si lasciarono intimorire dalle sopraffazioni che il regime conduceva nei loro confronti e furono

protagonisti di numerose manifestazioni di opposizione al Consolato”(Leila El Houssi, idem).

Ma  fu nel gruppo comunista che l’antifascismo italiano in Tunisia ebbe la sua maggiore espressione. Di questo gruppo ricordiamo in particolare Loris Gallico, Maurizio Valenzi, Marco Vais, Ruggero  ed  Eliane Gallico, Michele Rossi, Pietro Rallo, Giuseppe Mirotta, Nadia Gallico-Spano, Diana Gallico-Sebag, Litza Cittanova-Valenzi, Pietro Bongiovanni, Silvano Bensasson, Alberto Bensasson, Vittorio Bembaron (la moglie del quale Gilda fu ritratta da Maurizio Valenzi e  figura nella copertina del libro edito da Finzi nel 2000 Pittori italiani di Tunisia), Giuseppe Miceli .. (vedi Paul Sebag, Comunistes de Tunisie,L’Harmatan,2001 e Lucia Valenzi, Italiani e antifascisti in Tunisia negli anni trenta,Liguori ed.,2008)

I comunisti parteciperanno attivamente alla creazione del giornale antifascista L’Italiano di Tunisi, Organo della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo(1936-1939). Loris Gallico ne fu il direttore.

 L’Italiano di Tunisi” ebbe il merito di esaltare una cultura patriottica nella quale si affermo’ un’italianità dei diritti e della libertà al cospetto di un’italianità della supremazia italiana. Dovette smettere  le sue pubblicazioni nel 1939 quando scoppio’ il dissidio tra la componente comunista e quella della LIDU dopo l’inattesa firma del del patto tedesco-sovietico. Furono espulsi i comunisti dalla LIDU e venne  costituito il Comitato Nazionale italiano. A Loris Gallico fu tolta la direzione de L’Italiano di Tunisi.

La disfatta italiana del ’43 sarà percepita, proprio in virtù della manipolazione fascista dell’italianità,  dalla collettività come disfatta della stessa italianità, creando questa ferita identitaria da cui non riuscirà più a sollevarsi e che segnerà il suo progressivo sgrettolamento .

Ma prima della firma del patto germano-sovietico che divise le fila compatte dell’antifascismo italiano di Tunisi, privando anche L’italiano di Tunisi dei fondi privati che ne assicuravano la sopravvivenza, la vivacità del movimento, le posizioni a contrasto delle imprese coloniali mussoliniane in Etiopia ( Gallico e Valenzi scrissero un manifesto di condanna dopo l’invasione dell’Etiopia) valsero a suscitare un largo interesse per l’antifascismo italiano in Tunisia per cui, nel 1938, il Centro estero del Partito Comunista di invio’ a Tunisi i dirigenti comunisti Velio Spano e Giorgio Amendola, per  organizzare l’attività dei comunisti italiani. Nel marzo del 1939 nacque il quotidiano Il Giornale diretto da Amendola e Spano e di cui saranno redattori  Maurizio Valenzi e Loris Gallico.

L’avvento del fascismo al potere in Italia, aveva acuito nella collettività questo sentimento  patriottico che si espliciterà in forme nazionalistiche aiutate in questa dalle rigide posizioni francesi, che vedono sempre nella comunità italiana una minaccia alla loro indiscussa leadership.

Se prima del 1881 l’importanza del numero delle presenze italiane serviva da giustificazione “naturale” per una politica coloniale italiana in Tunisia, durante il fascismo la polemica riprese, sia per giustificare la politica espansionista di Mussolini sia per giustificare la politica di naturalizzazioni inaugurata dalla Francia. Francia e Italia si lanciano in una guerra ai numeri, guerra che si esprimerà attraverso gli articolisti sia dell’Unione che del giornale francese edito in Tunisia, Le Petit Matin. Nel suo saggio polemico-umoristico, Achille Benedetti riassume il problema visto dalla sponda italiana:

I giornali parigini, quando si occupano della Tunisia, possono essere tratti in inganno dalle,chiamiamole così, esigenze politiche della Reggenza. La cosa non può stupire (…) Il succitato giornale [il Comoedia] ha tirato fuori negli ultimi giorni del gennaio 1933-XI un bel pezzo squillante sulla superiorità della popolazione francese in confronto a quella italiana di tutta la Tunisia. Vale la pena di tradurre questa fatica redazionale a cui  i  nostri giovani e valenti colleghi del «Petit Matin» di Tunisi hanno posto, a mo’ di corona araldica, il titolo suggestivo «Una pacifica vittoria francese»:

«Per la prima volta dopo l’instaurazione del nostro protettorato in Tunisia, cioè a dire dopo cinquant’anni, l’elemento francese ha la superiorità numerica sull’elemento italiano: 91.427 francesi contro 91.178 italiani. Nel 1901 non c’erano in Tunisia che 24.000 francesi contro 71.000 italiani; nel 1926 il penultimo censimento segnalava che i francesi erano ancora 71.000 contro 80.000 italiani, ect., ect.»

Su quello che sono i mezzi delle autorità francesi per soffocare l’espansione della nostra razza  in Tunisia sorvoliamo. E’ un argomento che non affratella (…) Ricordiamo anzitutto ai colleghi parigini e di rimbalzo a quelli francesi di Tunisi che la fonte citata, cioè il censimento del 1931, non è degna di fede (…) quanto lo fu quello del 1926(…) Un piccolo controllo, per conto nostro, lo abbiamo compiuto a Sfax, centro più piccolo di Tunisi, e possiamo scodellarlo ai colleghi di «Commedia». Ecco ì nostri risultati: il censimento francese segnala a Sfax, 2750 italiani e al nostro Consolato abbiamo schedati  3666 italiani. Se ì colleghi parigini vogliono, possiamo inviar loro l’elenco dei 3666 italiani in un album rilegato in pelle, forse un pò  rustica trattandosi di opera di lavoratori sudati e sottoposti a tutti ì martirii (…) Si noti anche che non tutti gli italiani di Sfax sono schedati perché è notoria la resistenza alla elecazione per timori di tasse ò altro. Quando si calcolano a circa 4000 gli italiani di Sfax si è forse al di sotto del vero[6].

Le mire italiane sulla Tunisia troveranno conferma nel celebre discorso di Ciano alla Camera dei Deputati del 30 novembre 1938[7].

Nel ’29 la pubblicazione del libro di Francesco Bonura, Gli Italiani in Tunisia e il problema della naturalizzazione, dà forse la misura del sentimento di lesa italianità che procura la minaccia di applicazione di tale legge agli italiani di Tunisia :

Doppio danno deriva dalla politica di snazionalizzazione instaurata dal governo francese in Tunisia, prendendo di mira proprio l’elemento italiano, perchè più numeroso e più utile.

Danno alla Francia perchè la nostra opinione pubblica è giustamente molto gelosa della sorte avvenire dei fratelli di Tunisia e non puo’ comprendere che, nonostante i trattati favorevoli e le benemerenze dei nostri, il Governo Francese voglia ed il popolo francese tolleri una politica aggressiva contro di essi, politica che puo’ avere serie e gravi conseguenze per i rapporti spirituali e politici fra i due paesi. Questo pericolo non sembra sia apprezzato come merita, nè dalle sfere dirigenti né dall’opinione pubblica di Francia.

Danno alla Tunisia perchè i naturalizzati con la violenza saranno sempre dei cattivi francesi e la violenza subita avrà delle ripercussioni di odio. Questo pericolo è sentito da alcuni, ma quelli che gridano di più sono i loro avversari.

Danno quindi alla tranquillità locale ed alla pace generale.

La francesizzazione individuale ha già fatto molto male agli Italiani e rappresenta la violazione di un principio di etica e di un diritto della natura, eseguita con sistemi di inganni, coercizione e lusinghe, che non sono degni di un popolo che ha dato al mondo tre principi di pura etica,« egalité, fraternité e liberté». Gli Italiani hanno voluto e saputo resistere e cedono soltanto per necessità e per interesse, nei casi non risolvibili diversamente. I Francesi lo sanno ma è in loro la fobia delle cifre e preferiscono sapere che vi sono in Tunisia cento cattivi francesi in più e non cento buoni Italiani[8]. 

Gli accordi Laval- Mussolini del 7 gennaio 1935 mantengono lo status quo riportando di dieci anni la definitiva caducità degli accordi del ’96 per quel che riguarda la nazionalità. Ma gli accordi Laval-Mussolini sono subito compromessi dalla ostilità crescenti venutesi a creare in seguito alla questione etiopica.

Degno d’interesse a questo proposito la reazione del giornale “Il lavoratore italiano di Tunisia”, che nel ’39 scrive:

Voi che vivete la dura vita quotidiana sapete come questi nostri diritti non sono stati rispettati ; sapete quali ostacoli incontra per guadagnare il pane il lavoratore italiano.

Se volete far venire un parente dall’Italia voi lo sapete a quali difficoltà andate incontro e spesso vi viene rifiutato, mentre invece un francese puo’ venire qui senza passaporto. A un italiano che sbarca gli mettono sul passaporto che non puo’ lavorare. E allora come deve vivere, chi lo mantiene ? Se trova lavoro e disubbidisce a quest’ordine, viene processato e condannato e poi espulso. Dov’è l’uguaglianza dei diritti ? Allora a che cosa serve il trattato ? Certe terre non sono vendute che ai francesi. In molte campagne abitate solo da italiani, non c’è una scuola italiana, i vostri figli sono obbligati a frequentare una scuola straniera. Se voi o i vostri cari siete ammalati o vi capita nelle campagne un infortunio sul lavoro, siete obbligati ad andare da un medico francese (perchè i medici italiani non possono essere « médecins de colonisation »). Ora il medico francese molto spesso non conosce l’italiano e se voi non conoscete bene il francese non saprete spiegarvi in un’occasione in cui spiegarsi bene è necessario. Così avete bisogno di avvocati italiani, ma, date le leggi che ci sono, gli avvocati italiani sono pochissimi.

Che cosa se ne è fatto delle Convenzioni del ’96 ? Fate conto che vi abbiano detto che vi danno una torta. La torta è rimasta nelle  mani di chi avrebbe dovuto darvela, che ogni giorno ci ha dato un morso ; fino a che oggi quello che è un misero pezzettino duro è ammuffito. Lo stesso si è fatto delle Convenzioni del ’96.

Ma questo non basta. Nel 1918, mentre si combatteva, Italiani e Francesi per la stessa causa (15.000 italiani di Tunisia sono partiti in guerra e quasi mille non sono più ritornati) la Francia ha detto all’Italia già alleata che non voleva più riconoscere le Convenzioni del ’96 e che ci dava tre mesi di tempo per fare un altro trattato dove ci dovevano levare ancora qualche cosa (che cosa ci dovevano levare ancora ?) ; infine, di tre mesi in tre mesi, siamo arrivati al Patto di Roma del 7 gennaio 1935.

Vi descriviamo che cos’è questo patto :

L’Italia e la Francia dicono : Noi siamo due nazioni che per molte ragioni devono essere amiche. Perciò mettiamo da parte ogni rancore, ogni malinteso. D’ora in poi, dobbiamo lavorare d’accordo e, per questo, regoliamo le questioni spinose. Per la Tunisia facciamo così : stabiliamo che i vostri diritti dovranno durare alcuni 10 anni, altri 20 ed altri 30. Dopo il 1965, gli italiani della Tunisia saranno trattati come gli altri stranieri. Non avranno favori speciali.

É certo che questo patto non ci era favorevole, ma il nostro Governo non l’aveva fatto per niente : la Francia, in cambio, non doveva attraversarci la strada per la conquista dell’Etiopia.

La Francia, invece, ci applicò le sanzioni, anche in Tunisia, per due anni non ha voluto riconoscerci l’impero, l’amicizia è caduta (come si poteva rimanere amici in questa maniera ?). Quindi questo patto non ha valore. Non ha valore anche perchè non è completo : si doveva fare subito una convenzione per gli Italiani della Tunisia che in quattro anni non è stata fatta. I rappresentanti dell’Italia e della Francia dovevano incontrarsi e SCAMBIARSI LE RATIFICHE, cioè i documenti che provano che il patto è approvato dal Parlamento e dal Senato dai due paesi, che non c’è nessun ostacolo perchè il trattato diventi una legge.

Tutto questo non è stato fatto. Anzi la Francia ha richiamato il suo ambasciatore da Roma e ce l’ha rimandato appena ieri [9].

La tensione franco italiana avrà forti ripercussioni sulla vita degli italiani in Tunisia che spesso, come sottolinea Rainero citando Liauzu, hanno un ruolo ambiguo inseriti da una parte

nel movimento sindacale ma ubbidienti alla parola d’ordine del consolato e quindi in ultima analisi ben disposti verso i capitalisti francesi [10].

e d’altra parte la posizione della Reggenza, la quale teme l’influenza che potrebbe avere il rafforzamento del gruppo dei democratici sull’opinione pubblica degli italiani di Tunisia.

Lo stesso Maréchal Juin[11], che sostituirà il Reggente petinista Esteva, percepisce nei democratici italiani una minaccia e cerca di isolarli, mantenendo l’atmosfera favorevole alle autorità francesi di una collettività compattamente e massicciamente nemica della  Francia fuorché qualche isolata individualità, il che rese dopo il ’43 più facilmente accettabile le espropriazioni, le espulsioni, la confisca dei bene e gli internamenti di migliaia di italiani di Tunisia per liquidare definitivamente la questione italiana. (L’opposizione antifascista sarà seguita con inquietudine sia dalla Reggenza sia dal regime italiano. I democratici non cessano però  di elevare la loro voce contro le facili manipolazioni che subisce la collettività) :

(…) nulla hanno a che vedere codesti provocatori prezzolati con questo lembo di popolo italiano trapiantato in Tunisia che è la nostra colonia. Esso non vuol veder compromessi i suoi diritti culturali e commerciali, la sua nazionalità, per causa di un pugno di mercenari inviati su questa terra a seminare zizzania per conto di un governo che affama e disonora l’Italia,che ignora gli interessi più immediati del nostro paese.[12] 

L’assassinio dell’operaio Giuseppe Miceli[13], segretario del circolo popolare “Giuseppe Garibaldi”, per opera dei cadetti della nave scuola Vespucci e Colombo, che organizzano una spedizione punitiva nei locali del circolo, provocherà la protesta corale dei portuali nordafricani che rifiuteranno di sbarcare le merci italiane.

Ai funerali parteciperanno decine di migliaia di persone di ogni nazionalità. Il corteo, partendo dalla sede della confederazione del lavoro attraversa tutta la città tra due ali di pubblico.[14] 

Ma il tentativo di collegare antifascismo, sindacalismo ed anti-colonialismo pur non rinunciando alla propria italianità malgrado gli sforzi del gruppo antifascista che pago’ caro il prezzo del suo militantismo non riusci’ a smobilitare l’insieme della collettività che si lascio’ trascinare nel sogno di un riscatto nazionalista dopo le vessazioni subite dai francesi determinando cosi’ l’inizio di un inesorabile processo di sgrettolamento della stessa collettività.

D’altra parte, se la collettività alla fine degli anni ’30 è composta da strati successivi di emigrati dalle regioni italiane, occorre non dimenticare che uno di questi gruppi socio-culturali che la componevano era formato da quegli esuli italiani, commercianti, liberi professionisti, che dalla prima metà dell’800 ebbero un ruolo non indifferente nell’organizzazione della società civile degli italiani in Tunisia ed occuparono posizioni rilevanti sia professionalmente che come dirigenti stessi della collettività.

Un numero non indifferente era d’origine ebraica e l’applicazione delle leggi razziali operò la prima grande frattura dell’italianità[15]. Non solo dell’italianità, poiché anche dopo la resa italo-tedesca in Tunisia la propaganda antisemita diffusa da Radio Bari continuò  a imperversare cercando appoggio nella popolazione araba:

 l’Asse è antisemitismo. Lavoro degli ebrei, tassazione... appello agli arabi perché lottino contro gli ebrei, lotta violenta perché si provochino dei pogrom[16].

Non furono solo le autorità italiane a promulgare leggi antisemite. In effetti, le autorità coloniali francesi, in contraddizione con le convenzioni del 1896 ed in conformità con le istruzioni ricevute dal governo di Vichy, isolano gli ebrei italiani nella categoria generale di ebrei, non permettendo loro di beneficiare dello statuto speciale conferito agli italiani.

La resa delle truppe italo tedesche nel giugno 1943, che segna la fine della guerra in Tunisia, provocherà ciò  che già temeva il gruppo antifascista  nel ’38, ossia che i lavoratori italiani in Tunisia pagassero per colpe per la stragrande maggioranza non commesse. Interessante, a questo proposito, citare un passo delle memorie autobiografiche di Nadia Gallico Spano, attivista anti-fascista ed anticolonialista in Tunisia, partita definitivamente in Italia all’indomani della liberazione di Napoli nel ’44 a seguito del marito Velio, del fratello Loris Gallico e dell’amico Maurizio Valenzi. Diventerà  tra l’altro, un membro attivo dell’Assemblea Costituente e deputato comunista al Parlamento italiano dopo la Liberazione.

« Sul nostro unico balcone campeggiava l’asta per la bandiera italiana che mio padre issava in occasione delle più importanti ricorrenze. Il 9 maggio 1945,quando avevo già lasciato Tunisi, si svolse su quel balcone una scenata: per celebrare la pace mia madre issò il tricolore. Salirono dei francesi che strapparono la bandiera dall’asta e la bruciarono sotto gli occhi spaventati delle mie figlie Paola e Chiara che avevano cinque e tre anni.»[17]

L’8 gennaio 1945 il Generale Mast scrive:

Au 31 décembre, les internés civils italiens étaient au nombre de 1187... au cours de l’année 1944, 3015 arrêtés d’expulsion ont été pris. 418 concernent des individus présents en Tunisie et faisant partie des 1200 italiens qui devront, d’après nos plans, être éliminés de la Régence. 599 arrêtés d’expulsion concernant des italiens partis avec des troupes de l’axe. Enfin 1998 visent des italiens de Tunisie ayant fait partie des troupes de l’axe et volontairement porté des armes contre la France…leur nombre total est de 6000 ; le 4000 restant feront l’objet d’arrêtés d’expulsion au fur et au mesure que nous obtiendrons les renseignements les concernant [18]. 

La liquidazione delle elite della collettività, i beni sequestrati, l’impossibilità di esercitare alcuni mestieri quali, dal ’44, il cabotaggio e la pesca, l’avvocatura, la limitazione dei medici, ridusse molto l’operato italiano in Tunisia, ma soprattutto depauperò considerevolmente la collettività. Se la dirigenza della collettività fu nel mirino delle autorità della Reggenza, gli operai subiranno anch’essi il contraccolpo della disfatta italiana attraverso una politica di licenziamenti che li vide costretti o a lasciare il paese o a naturalizzarsi francesi. A titolo d’esempio nella miniera di Djerissa nella seconda metà di maggio del 1940 vengono licenziati circa una decina d’operai al giorno, alcuni dei quali hanno 20 anni di servizio, così per quelli che lavorano alla Centrale Elettrica del Bac (La Goletta), come per gli operai che prestano servizio presso la Società dei Tram di Tunisi (Tunis-Marine), o ancora quelli che lavorano nella miniera di Redeyef. Il problema della confisca dei beni italiani dal ’44, specie quella delle terre[19], si accompagnò a un importante sfollamento della popolazione, la quale fu promotrice di questo nuovo insediamento in Italia, in particolare nella Regione Lazio, a Nettuno, Anzio, Aprilia e Latina, dove ricostruirono proprietà sul modello di quelle lasciate in Tunisia.

Significativa fu la creazione della Cooperativa Enotria di Aprilia, nei pressi di Latina, composta da soli soci italiani di Tunisia.  

Comincia anche il lento processo di “snaturalizzazione” con l’applicazione dal marzo ’44 della nazionalità francese a tutti gli italiani nati in Tunisia dopo il 10 giugno 1940 e di cui almeno uno dei genitori sia nato in Tunisia.

Con la normalizzazione dei rapporti italo-francesi, dal ’47, le attività italiane riprendono. Per quel che riguarda la vita associativa riprendono sole le attività assistenziali, niente più scuole, né giornali, né ospedali, né Camera di commercio, né istituzioni culturali, ecc.

Di fronte a questo black out della vita italiana in Tunisia i lavoratori spesso più umili prenderanno la nazionalità francese con la quale veniva garantito loro il lavoro. Con l’Indipendenza della Tunisia(20 marzo 1956) si troveranno ancora una volta a pagare per colpe non commesse non più da italiani questa volta ma da francesi.

Dal ’49 riprendono i traffici commerciali Tunisia-Italia, così come in veste ridotta la Dante Alighieri sotto il nome delle Amitiés franco-italiennes. La Camera di Commercio riprese le sue attività solo nel 1959 con il nome di Camera per gli Scambi italo-tunisini. La Società sportiva Italia rinacque nell’aprile del ‘56 alla vigilia dell’indipendenza  e prese il nome di Società Sportiva Aurora, ad oggi esistente,cosi’ come usci’ nel marzo dello stesso anno Il Corriere di Tunisi.

Sembrava che dopo i tragici eventi che avevano scosso brutalmente la collettività italiana essi con l’avvento dell’Indipendenza tunisina ricominciassero ad avere fiducia nel loro avvenire. Certuni pensavano anzi che l’evoluzione della Tunisia verso l’indipendenza, ponendo sul piede di uguaglianza tutti gli stranieri, avrebbe giovato allo sviluppo delle possibilità italiane in Tunisia[20].

Ma le mire coloniali dell’Italia in Tunisia, il conflitto franco-italiano, la guerra, le confische e le espulsioni  per “liquidare la questione italiana in Tunisia” ad opera delle Autorità francesi, il distacco dagli interessi e rivendicazioni comuni tra tunisini ed italiani aggravato dal processo di naturalizzazione automatica segno’ l’inesorabile declino di questa fiorente collettività che il pur fondamentale episodio antifascista non riusci’ a strappare dalla stretta mortale di interessi politici ed ideologici di cui fu per prima la vittima.

E per concludere, citero’ un passo  del  romanzo del nostro Adriano Salmieri, La chronique des morts(Julliard,1974) nel quale si legge :

Messeigneurs, la chronique s’achève et se fragmente et s’effrite, non par lassitude de ma part ou par manque de matière, mais parce-qu’il faut bien un jour tirer un trait et vivre en règle avec ses morts et accepter que les lieux que nous avons hantés maison, école, monuments redeviennent poussière apaisée, les tourbillons ne la soulèvent plus accepter que la forme explicite de ceux que nous avons aimés, haïs, se dissolve sous la douce attaque de l’oubli et il reste au cœur l’irrémédiable Clôture . 

                                                                                                  



 

 

[1]  La Società Umanitaria fu creata nel 1902. Laica e progressista essa operò in stretta collaborazione con le organizzazioni operai, specie quelle europee.

 

[2] Durante il governo di Giolitti tre leggi sull’emigrazione entrarono in vigore una delle quali riguarda il quadro amministrativo nel quale l’emigrazione deve essere canalizzato. Fu resa operativa nel I912 la legge del 1901 con l’istituzione di  un Commissariato all’emigrazione, sostenuto dal Ministero agli Esteri, il quale era composto da un ufficio centrale e direttivo, da uffici esecutivi nel regno e da ispettorati nei porti d’emigrazione.

 

[3]  L’Opera Bonomelli, di matrice cattolica, fu fondata nel 1900, da mons. Bonomelli, vescovo di Cremona.

 

[4]  Romain Rainero, La rivendicazione fascista sulla Tunisia,Marzorati ed.,Milano, 1978, p. 120.

 

[5]  Discorso di Mussolini al Senato in R.Rainero, Idem, p. 122

  

[6]  Achille Benedetti, Per gli italiani della Tunisia ( Polemiche giornalistiche), Nuova Europa, Roma, 1934, pp. 4-6

 

[7]  Il discorso di Ciano del 30 novembre 1938  alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni in presenza dell’'Ambasciatore francese François-Poncet, su invito dello stesso Ciano, riguardante la posizione italiana durante la crisi cecoslovacca. Il Conte afferma nel suo discorso la potenza e la supremazia italiana a cui fanno eco nell’aula gli interventi esaltati ed oltranzisti di alcuni gruppi di deputati che si alzano gridando: «Tunisi, Corsica, Savoia, Gibuti».  E una provocazione ai danni della Francia e molti, sia in Italia, sia all'estero, la considereranno tale.
Chiunque sia stato il suo ideatore, una cosa è incontrovertibile: la manifestazione del 30 novembre, oltre ad umiliare François-Poncet, determina il fallimento, sia dei tentativi francesi, di riavvicinamento all'Italia, sia dei piani di Mussolini di approfittare delle difficoltà francesi per realizzare una prima parte delle sue rivendicazioni verso di essi: i rapporti tra i due paesi andranno vicino alla paralisi, se non addirittura al conflitto.

 

[8]  Francesco Bonura, Gli Italiani in Tunisia e il problema della naturalizzazione, Ed. Tiber, Roma 1926, pp. VII, VIII, IX.

 

[9]  I diritti degli italiani in Tunisia in «Il lavoratore italiano di Tunisia », n° 74, anno II, 5/4/1939, Tunisi, pp. 7-8. Archivio della Collettività Italiana, presso Ambasciata d’Italia, Tunisi.

 

[10]  Romain Rainero, op. cit., p. 265.

 

[11]  L’8 giugno 1943, il Generale A. Juin, Comandante delle Forze Terrestri francesi in Africa del Nord, Reggente Generale di Francia a Tunisi, in  una lettera confidenziale al Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale, a proposito degli antifascisti italiani in Tunisia, scrive:

«Un groupement antifasciste s’est constitué parmi la colonie italienne de Tunisie et a cherché aussitôt, à recevoir, sous l’appellation d’Union démocratique italienne de Tunisie, les statuts d’un parti politique(…) Il ne convient évidemment pas de favoriser une telle manœuvre, car la versatilité qui caractérise les Italiens nous obligerait, après un temps relativement court, non pas à faire face au faible noyau que représentent pour l’instant les antifascistes déclarés, mais à l’ensemble de la colonie italienne de ce pays, dont le nombre des ressortissants est égal, ne l’oublions pas, à celui de nos compatriotes. En accueillant les offres de service qui nous sont adressées et en favorisant, notamment, la création d’un corps de soldats italiens de Tunisie, volontaires pour se battre à nos côtés, nous risquerions de contacter une dette morale capable de porter atteinte, tôt ou tard, à notre liberté d’action. La manœuvre dont nous sommes l’objet, outre qu’elle répond au désir de certains italiens d’échapper au camp de concentration et aux représailles éventuelles des Français, tend, ni plus ni moins, à maintenir l’hypothèque italienne qui a pesé lourdement en Tunisie depuis vingt ans. Les Français de ce pays (…) sont unanimes dans leur résolution de mettre fin, une fois pour toutes, «à l’italianité» en Tunisie».

Résidence Générale de France à Tunis, 8/06/1943, Archivi Nazionali di Tunisia, SG2, C140, d16.

 

[12]  Editoriale de  L’Italiano di Tunisi, 22/5/1938 in Romain Rainero, op. cit., p. 292.

 

[13]  Giuseppe Miceli era ebanista di professione. Membro attivo del Partito comunista tunisino e dell’Unione popolare, l’organizzazione unitaria degli antifascisti italiani. Nel settembre ’37 era venuta a Tunisi la nave scuola Amerigo Vespucci. Il giornale antifascista L’Italiano di Tunisi, diretto da Loris Gallico pubblicò un appello e distribuì volantini nei quali, rivolgendosi ai marinai ed agli allievi della nave, li esortava a non farsi complici della politica di aggressione fascista, in contrasto con le tradizioni di libertà insite nella cultura italiana. Come risposta e benché non si trovassero in territorio italiano, uno squadrone di cadetti sbarcò a Tunisi  intenzionati a effettuare una spedizione punitiva. Miceli si trovava allora al Circolo Garibaldi, sede dell’Unione popolare dove irruppero ì cadetti. Dopo aver distrutto tutto il materiale ed il mobilio, spararono all’impazzata. Miceli fu colpito a morte. Le autorità francesi ne arrestò undici ma la mattina dopo li riaccompagnò alla nave. Non vi furono proteste ufficiali  per l’atto commesso dai cadetti in un territorio che giuridicamente era amministrato dalla Francia né tanto meno fu intentato ai colpevoli un processo. L’autorità coloniale non voleva appoggiare l’antifascismo italiano in Tunisia, anzi lo ostacolò sia prima della dichiarazione di guerra che durante. In effetti, se accettava che italiani si arruolassero nelle file francesi benché con molta circospezione, non intendeva permettere che si sviluppasse un movimento italiano antifascista autonomo. 

    

[14] Nullo Pasotti, op. cit., p. 122-123.

 

[15]  Guido Medina, Il grido di un Italiano, Tunisi, s.d. , pp. 8-9: «No, no, non è possibile. Nessuna forza al mondo puo’ togliermi questa qualità mia di italiano, cosi’ intima al mio corpo, alla mia anima, al mio cuore... Io non sorgo a difesa degli Ebrei, né a mia difesa. L’opera loro, prettamente italiana si difende da sé: né la mia opera io difendo... Io mi offro in olocausto per la vita di tutti gli altri ma voi non volete la morte nostra: voi volete la nostra diminuzione: questo no, no, e poi no»; A. Mortara (pseudonimo di Maurizio Valenzi), Ebrei italiani di fronte al razzismo, Ed. Unione degli Italiani contro il Razzismo, Tunisi, 1938, pp. 25-26-27-28 : «E primi in questa italianissima opera furono sempre gli ebrei italiani. La prima scuola italiana in Tunisia fu creata circa un secolo fa dal professor Sulema (...) i primi fondatori del convitto italiano di Bab Dgedid sono Fiorentino, Gutierrez, Valenzi, Bensasson, Cesana, tutti italiani di confessione israelita... dall’ospedale Garibaldi all’orfanotrofio Principe di Piemonte, dalla Casa della Dante (alla cui creazione contribuirono prevalentemente i Molco, i Moreno e i Caló), all’asilo Garibaldi costruito dall’ing. Achille Franco... il contributo degli ebrei italiani fu sempre di prima importanza in ogni opera e manifestazione di italianità attraverso tutta la Tunisia...Funaro, studioso e scrittore di valore, Morpurgo, condannato a morte in contumacia dal Granduca di Toscana, l’avvocato Enrico Bensasson, garibaldino e ferito della Terza guerra d’indipendenza e suo fratello il dottor Alberto Bensasson, membro della Giovine Italia che ebbe poi dal Re in persona la Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro, il dott. Castelnuovo, medico del Bei e poi anche medico del Re Vittorio Emanuele II dal quale ricevette il titolo di Barone, il dottor Nunez Vais, Mennachi, Modigliani, Provenzal continuarono su questa terra ospitale la lotta per la liberazione dell’Italia divisa ed oppressa dallo straniero(...) Gaetano Fedriani, sulla cui lapide vi è stata posta il 20 settembre 1905 «Altri profughi d’Italia mentre, fra gli urgenti desideri intendevano a restaurare le fortune afflitte della LIBERTA’ e della  PATRIA» (...) i nomi di Guido Boccara, Medaglia d’argento, dell’ardito Lionello Attias, del Maggiore Medico Clemente Uzzan, Enrico Lumbroso, Ernesto Silvera, A. Spizzichino, G.B. Enriquez, A. e E. Franco, Sonnino, Boccara, Cardoso e di tanti altri dimostrano irrefutabilmente che gli ebrei italiani combatterono come tutti gli altri sulle rive del Piave e dell’Isonzo, sulle Alpi, nelle file dei Bersaglieri, degli Alpini, degli Arditi... Benché la campagna razzista abbia ufficialmente preso inizio il 14 luglio, cioè più di due mesi fa, le funzioni onorifiche e dirigenti nella colonia italiana sono ancora le seguenti: Dott.Prof.Ortona, medico ufficiale del Consolato; Avv.Morpurgo, avvocato del Consolato assieme all’avv.Boccara, Presidente della Lega Franco-Italiana; Maurizio Aldo Soria, gerente responsabile dell’Unione; Mario Vais, Presidente dell’Orfanotrofio Principe di Piemonte; avv.Pariente, segretario della Dante Alighieri; Raul Attias, Presidente dell’Associazione Mutilati e Invalidi di guerra; U.Scialom, amministratore dell’Ospedale Garibaldi; nell’amministrazione dell’Unione, dott. Lombroso e ing. Moreno; al Consiglio di amministrazione della Banca Italiana di Credito: Faldini, Vais, Boccara e Alfredo Coen Presidente.

 

[16]  AMAE, Tunisia, Busta n° 16, fasc. 4, in Romain Rainero, Documenti, op. cit., p. 552.

 

[17]  Nadia Gallico Spano, Mabrùk, Amed Edizioni, Cagliari, 2005, p.96

 

[18]  Réglement de la question italienne, lettera del Generale Mast a G. Bidault, 8 giugno 1945, Archives du Quai d’Orsay, presso ISMN, Tunisi.

 

[19]  Sino agli anni 49-50, le autorità francesi esproprieranno le terre appartenenti ad italiani in favore dei cittadini francesi e ciò malgrado la progressiva normalizzazione dei rapporti italo-francesi in virtù di un articolo di legge del 28 settembre 1948 che espropria gli agicoltori italiani mettendo all’asta le loro terre.

 

[20]  Nullo Pasotti, op. cit., p. 153.

 

 


 

 

 

LA VOCE NUOVA

 

 

l'italiano di tunisi, 21 Settembre 1937, Archivio Nazionale Tunisi

 

 

Maurizio Valenzi con Loris Gallico

 

 

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