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Nel Mediterraneo-Maghreb
757 - PENSIERI EURO-MEDITERRANEI |
Cercando di non cadere in un discorso demagogico, per non urtare la sensibilità di alcuni segretari di partito preoccupati in Italia dello stato di tensione sociale, cerchiamo qui nel nostro piccolo di analizzare il problema del finanziamento dei partiti e le conseguenze geopolitiche che ciò può innescare. |
Nel 1993, grazie ad un referendum abrogativo promosso dai Radicali, più del 90% votò contro il finanziamento pubblico dei partiti (anche per effetto di Tangentopoli). Questa ondata di sdegno popolare veniva però di fatto bypassata nel dicembre dello stesso anno con una legge ad tascam (quella dei partiti) che prevedeva un contributo delle spese elettorali. Inoltre, nel 1999, un’altra legge reintroduceva di fatto il finanziamento pubblico, riportando ai partiti il maltolto.
Cosa sono oggi i partiti in Italia? Sono veramente l’espressione di una partecipazione collettiva dietro un disegno ideologico, o sono diventati altro? Per stessa ammissione del tesoriere del PD, un eventuale arresto di introiti dallo Stato comporterebbe cause disastrose per tutti coloro che ricevono compensi e stipendi in quanto impiegati dentro un partito. Dunque, di fatto, un partito è un impresa privata, che riceve fondi pubblici. Un disegno classico nel panorama societario italiano che trova conferma anche in quelle imprese così dette partecipate o ad azionista unico: l’Istituzione pubblica, appunto. Veri e propri contenitori di impiego, per garantire all’elettore fedele una collocazione professionale.
È questa allora la nuova dimensione pubblica dei partiti? Imprese di coordinamento politico e di collocamento che, sebbene mirino al finanziamento privato, di fatto ricevono molti più soldi dal finanziatore pubblico? Nulla di strano, se non si fosse ribaltata una scelta popolare, quella del referendum, dai numeri populisti. Così come bisognerebbe spiegare a tutti quei cittadini che si trovano oggi nella sgradevole prospettiva di dovere pagare tesse su tasse (l’IMU incombe) ad accettare che, dopo l’ennesimo tentativo fallito di ridurre gli stipendi ai parlamentari, adesso anche i finanziamenti ai partiti manterranno le stesse cifre degli anni passati.
Tutto ciò si ricollega alla paventata strategia di un governo che, dal giorno dopo della sua nomina, ha chiaramente optato per una serie di manovre “lacrime e sangue”, per evitare il default del paese. Quanto vale allora spremere il contribuente quando l’istituzione pubblica in carica non si adegua ai tagli di spesa? Quanto vale trasmettere messaggi di sacrificio ed amor di patria, quando gli attori pubblici non partecipano minimamente alla battaglia, mandando al fronte solo i contribuenti?
Mettiamoci pure gli scandali di Lega e Margherita, ed ecco che non mi stupisco per nulla se un movimento basato sulla disobbedienza civile, come quello di Grillo, trovi sempre più riscontro. Sempre più italiani, per motivi ideologici o per semplice difficoltà economica, decidono di non pagare le tasse. Semplici cittadini stretti tra la morsa della crisi e lo scempio offerto dalle pubbliche istituzioni nella gestione dei fondi e delle regole. Che lo si ammetta o no, lo scontro sociale è già in atto e le prospettive di un cambio radicale delle regole dei partiti, come quelle dei parlamentari – a favore di una più equa distribuzione di sacrifici – sono labili se non inesistenti. Le prossime elezioni Municipali ci diranno quanto incide questa discrepanza tra il controllore ed il controllato. E non si dica che i campanelli di allarme non siano suonati per tempo.
Alfredo Lo Cicero
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