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Dossier
Quella mattina, esattamente un anno fa, il 15 gennaio 2011, la Tunisia si svegliava da un incubo. La sera precedente, Ben Ali, il dittatore che con l'appoggio dell'Occidente aveva addormentato le coscienze di una gran parte di tunisini, era fuggito, scappato, decollato in fretta e furia, incalzato da una dilagante protesta che aveva invaso le strade e le piazze di Tunisi e di tante città del Paese. Da allora molte cose sono successe, molti avvicendamenti politici, molte cose buone, altre meno. La rivoluzione, la confusione, i partiti politici, la scoperta del dibattito democratico, le elezioni, le incertezze sul ruolo dell'esercito, l'apertura di una assemblea costituente, le resistenze alla democrazia, le speranze di salvare la libertà di opinione. Nonostante le difficoltà di parlare di tutte queste cose insieme e il limite di tempo, tutto concentrato in un gelido pomeriggio milanese, l'incontro al Teatro Rosetum è stato un vero successo. Tanta gente e tante opinioni, tanta passione e tantissima partecipazione anche da parte di quegli italiani che sentono la Tunisia vicina al cuore e vicina di casa, giusto dall'altra parte di quel Mediterraneo che a volte ha unito e altre diviso questi popoli molto più simili di quanto possa concedere l'immaginazione collettiva. Molto sofferto ed emozionante l'intervento della delegata dell'Associazione Pontes che rappresenta in Italia la voce delle mamme e delle famiglie tunisine che non hanno notizia dei propri congiunti imbarcatisi con barche di fortuna a Sfax nella scorsa primavera e dei quali non si sa più nulla: sono morti? Sono in carcere? Sono . . . ? Un appello è stato trasmesso più volte a Rafik Abdessalem, ministro degli affari esteri tunisino, a Giuliano Terzi, omologo italiano, ad Anna Maria Cancellieri, ministro dell'interno del governo Monti. Per ora invano. Mohamed Challuf, regista, uomo di cultura ha assunto il ruolo a lui abituale di animatore della serata. L'intellettuale tunisino di casa a Milano quanto a Tunisi, ha introdotto i molti relatori, i filmati, i cantanti, i registi intervenuti incominciando da Ahmed Hafiene, attore che ha interpretato molti ruoli in film di costume sia a Roma dove risiede sia a Tunisi, sua città natale. In un colloquio privato Ahamed ha detto:” Con la fuga di Ben Ali la paura è passata, ma non vorrei che iniziasse un periodo di paure diverse e altrettanto inquietanti. Combattere la cultura, per il regime di prima, era un comandamento essenziale per poter rimanere al potere. Ora si tratta di buttar giù l'ultima parete, qualla dell'ipocrisia, quella del dubbio. Occorre mettere definitivamente i chiodi sulla bara dell'arbitrio e della prepotenza di pochi su tutti”. Dopo la proiezione del bellissimo documentario “Fallaga” di Rafik Ombrani che ha per tesi “rianimiamo la vita civile della nostra Nazione”, è intervenuto Ayachi Hammani, rappresentante della Lega per i Diritti Umani.
Ayachi Hammami Hammani ho ripercorso il lungo cammino che ha preparato la rivoluzione: i sacrifici, la vita all'estero, le persecuzioni, la vittoria finale. Ma la vittoria non sarà completa fino a che non verrà rispettato in Tunisia ( e nel resto del Mondo) il diritto sacrosanto di rappresentare se stessi, di pensare ed agire secondo le proprie convinzioni in un regime veramente democratico. Ha spiegato come è radicalmente cambiata la mentalità dei tunisini residenti all'estero: prima mandavano i soldi a casa e non volevano sapere niente di quello che avveniva nel loro Paese. Ora di soldi forse ne mandano meno per via della crisi, ma partecipano alle vicende di casa come mai prima era successo. Molti hanno voglia di tornare, per costruire qualcosa nel paese d'origine. In sala c'era la TV Italiana (RAI 3), Lucia Annunziata, la TV tunisina e la giornalista Giuliana Sgrena che ha detto: “faccio un mestiere che è diventato non solo difficile ma anche pericoloso. Il Potere non vuole testimoni. Noi giornalisti non vogliamo fare la guerra, né diventare spie o eroi. Solo essere dei testimoni, vogliamo raccontare la verità, quello che succede. Molti di noi ci continuano a lasciare la vita come il collega Gilles Jacquiter, ucciso l'altro giorno in Siria. Ma sappiamo bene che sono le parole e sono le immagini che hanno aperto la strada alla rivoluzione, ai cambiamenti radicali nel Norafrica. Anche il pubblico deve a sua volta chiedere il diritto di essere informato”.
Le giornaliste Hanene Zbiss e Giuliana Sgrena con il regista M. Challouf Dopo un intervallo musicale è intervenuta la giornalista Hanene Zbis, ex collaboratrice del Corriere di Tunisi ed ora redattrice di Realité, periodico di punta nella realtà tunisina. Hanene ha detto: ”Abbiamo dovuto ri-imparare il mestiere di giornalista, questo è il primo passo. Un passo non facilitato dall'attuale Governo che insofferente delle critiche ha imposto nuovi direttori negli organi di stampa. Non solo, ma fatto gravissimo, ha scelto di autorità e imposto alle redazioni anche i capiredattori, una prepotenza davvero insopportabile. Mentre il Governo non interviene nella Università Manouba, occupata da una ventina di salafiti che impediscono da mesi le attività didattiche di 8000 tra studenti e insegnanti, la popolazione civile ha deciso di fare un sit-in per spiegare cosa significa il concetto di libertà in un paese civile. L'atteggiamento attuale del governo ci fa capire che è difficile uscire dalla mentalità della sopraffazione ereditata dal regime di Ben Ali. La libertà di pensiero è in pericolo e se non si vince questa battaglia non si potrà più parlare di democrazia”. La serata si è chiusa con la proiezione di un breve ma drammatico filmato girato a Tunisi e a Kasserine nei giorni della rivolta, da Gilles Jacquiter, il regista e giornalista francese ucciso in Siria. A Gilles è stato conferito il Premio Ilaria Alpi. La “Paura” non è per nulla finita. Gianni Perotti Milano 15 gennaio 2012
I musici che hanno animato dal vivo l’incontro
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