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Dossier

Il complesso Francescano del “Rosetum” [foto: Maurizio Laurenti] |
Tendresse, tenerezza. Tendresse, parola che più evoca comprensione, calore, quel calore umano di cui noi, al di qua del Mediterraneo, avvertiamo in molte situazioni la mancanza.
È questo il sentimento che io personalmente ho provato domenica 15 gennaio durante l’evento “tunisino” che si è svolto a Milano nel complesso francescano del Rosetum, a ricordo del primo anniversario della “rivoluzione dei gelsomini” . Dalle notizie più dettagliate riportate in altra parte del giornale, si nota come la partecipazione sia stata ampia e qualificata: giornalisti e intellettuali tunisini da sempre impegnati per combattere il regime hanno portato la loro testimonianza e il loro pensiero, gente comune simpatizzante della nuova Tunisia, artisti e cantautori engagés.
I filmati mi hanno dato una sensazione di serenità e di ottimismo. Giovani che hanno resistito per giorni alle cariche della polizia in condizioni più che precarie con negli occhi quell’ideale di fierezza e di libertà che avevamo noi italiani della “meglio gioventù” del primo dopoguerra (rare purtroppo le ragazze, ma le più coraggiose erano presenti). Nello stesso tempo ho provato un filo di malinconia per quello che eravamo e che abbiamo perso per strada e tenerezza verso quei giovani che non si rendono ancora conto di essere ingenui e velleitari e che hanno ancora tanta strada da percorrere. Mille ostacoli e mille insidie da superare per arrivare alla vera democrazia (ma mi domando quale sia la vera democrazia...)
Tuttavia la Tunisia ce la farà. Ce la deve fare. Bisogna avere tanta pazienza. Non avere fretta e la libertà di pensiero e di espressione sarà salvaguardata. E soprattutto noi europei non dobbiamo stare a guardare.
Infine mi associo pienamente a quanto Mino Rosso ha scritto il 9 febbraio dell’anno scorso sul “Corriere di Tunisi”, numero 92 del marzo 2011 Lettera di un invidioso ai giovani tunisini.
Clelia Ginetti
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