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 753 - L’ARIA DI DJERBA MI IMPEDISCE DI MORIRE

 

L’isola di Djerba potrebbe essere definita un miracolo Mediterraneo.

Scoprire l’isola  è una continua sorpresa, il ritmo dei suoi abitanti, il suo alone misterioso che penetra nella mitologia omerica e biblica risiede qui ancora oggi  nel III millennio.  E, se pur vero che l’aeroporto internazionale e il terrapieno stradale di El Kantara che attacca l’isola al continente ha tolto quell’isolamento dei secoli scorsi implicando però uno slancio alla economia, gli abitanti dei numerosi villaggi continuano ha mantenere molte delle antiche abitudini. In verità il viaggiatore occidentale che si trova in questi luoghi trova una molteplice varietà etniche e antropologiche. Solo per citarne alcune: la presenza storica della comunità ebraica, la realtà della numerosa  comunità Ibadita, con la sua lingua e le sue tradizioni, i molti occidentali che si sono insediati, tutti sembrano vivere  in armoniosa vicinanza. Una vera micro-civilizzazione si è andata formando in questa  terra che potrebbe essere considerata un esempio ben riuscito di convivenza di differenti culture. Giungendo a Djerba, si ha immediatamente la sensazione di essere in una terra dolce, l’aria tersa ed ossigenata dalla brezza marina, i cieli dal colore bleù intenso. Insomma per sintetizzare con l’espressione di un noto scrittore (Gustave Flaubert) che ha abitato nell’isola il quale asseriva che: “ l’aria di Djerba mi  impedisce  di morire”.

Su questa terra troviamo non solo una numerosa   presenza di molteplici tradizioni di una umanità ricca di originali storie e di culture ma anche forme ed architetture uniche in tutta l’Africa  del nord.

In un isola che nel complesso il suo perimetro è  approssimativamente di 140 chilometri ci sono all’incirca 300 moschee di cui una metà sono di rito ibadita, che sono le più antiche. Ciò dimostra che un tempo la setta musulmana wahabita, karigita,  ibadita (tre termini che con alcune diverse sfumature definiscono la medesima congregazione religiosa) era la presenza più numerosa sull’isola. Queste antiche e bianchissime  moschee ibadite, con i  loro archi, cupole  e  spazi  sono state realizzate con  uno spirito semplice ma essenziale. Le costruzioni dalle murate  irregolari originariamente  fatte di gesso e pietre sembrano a volte apparire come morbidi castelli di fango fatti da bambini. Linee semplici ed essenziali come pennellate di quadri di Van Gogh. Sono costruzioni in cui si legge una vita di tipo monacale, fatta di preghiera e di misticismo. Porticati con arcate basse e aperte su cortili come luoghi di incontro e conversazione, kutteb e mirab con nicchia dove si colloca il mueddeb (maestro di scuola coranica)  ad impartire lezioni ai piccoli della comunità. In ogni moschea poi c’è sempre una grande cisterna  sotterranea dove l’acqua piovana si  convoglia  e si conserva questo fondamentale elemento necessario alla vita e alle abluzioni che precedono la preghiere. A Djerba pur essendoci molti pozzi l’acqua è salmastra quindi le scorte storiche per il consumo umano erano poste in queste cisterne (fesghie)  realizzate presso ogni casa tradizionale.  Oggi sono stati realizzati acquedotti che prelevano l’acqua dal continente e che viene per caduta e pompata dal villaggio di Kutine sino all’isola,  circa 50 chilometri di percorso. 

La casa tradizionale  di Djerba  è il menzel, una abitazione un tempo rurale che oggi è da molti restaurata ed equipaggiata di ogni confort. Potremmo dire che  le piste e le strade dell’isola sono state realizzate originariamente per collegare i casolari (menzel) sparsi nella campagna interna. Questi percorsi si snodano tuttora su piste sabbiose dentro fossati di cumuli di terra (tabia) che contrassegnano le differenti proprietà agricole. Questi percorsi portano sempre ad un mezel che si presenta come una piccola fortezza nel mezzo della proprietà. E’ una costruzione quadrata con quattro torrette sugli angoli di una dimensione che varia da 10 ai 20 metri per lato.

Un complesso abitativo che prende il nome di housch costituito da una serie di vani dalle differenti destinazioni d’uso, innanzi tutto in prossimità dell’ingresso una camera destinata agli invitati contrassegna il principio fondamentale dell’ospitalità, all’interno secondo il numero dei componenti famigliari sono disposte delle camere con un sopralzo in pietra chiamato ducana  dove sono piazzati i materassi, queste nicchie sono come dei nidi accoglienti per trascorrere la notte, quasi delle alcove. Altri vani più o meno vasti sono destinati a sala da pranzo e a luoghi di conversazione.  Nei pressi un pozzo (bir) per l’irrigazione, la cisterna dell’acqua piovana (fesghia) per l’acqua di consumo umano, e uno spiazzo duro che nella stagione di raccolta dei cereali viene usato per la battitura e la pulitura dell’orzo, del grano e del sorgo.

Nelle zone più urbanizzate, all’interno e alla periferia dei villaggi sono presenti delle basse costruzioni con tetti spioventi a due falde, questi sono i laboratori di tessitura che un tempo erano circa  2000 distribuiti nell’isola.  Molti sono ancora in funzione, dentro i laboratori vi sono  telai verticali dalla apparenza arcaica, tessono filati anche preziosi destinati all’abbigliamento di pezze  che servono per la realizzazione di abiti tradizionali che ancor oggi sono usati, composizioni di disegni a losanga ricamati su tessuti in genere bianchi che fanno di una eleganza  e nobiltà particolare   le donne dell’isola.

Le ricchezze di quest’isola sono talmente numerose e variegate che non è possibile pur sinteticamente descriverle  in un solo articolo, per questo continueremo sul prossimo numero a raccontarvi  di questo luogo per informare gli italiani presenti in Tunisia e in Patria che l’isola di Djerba non è solo alberghi e spiagge inflazionate dal turismo di massa ma luogo di scoperta, di storia e di cultura millenaria.

 

Marino Alberto Zecchini   

 

 

DJERBA - MOSCHEA IBADITA MELLITA

 

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