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Cultura
UN ASSORDANTE SILENZIO DI POESIA
Dal 15 ottobre fino al prossimo 17 gennaio il Palazzo Reale di Milano ospita la prima importante esposizione italiana dedicata a Edward Hopper (1882-1967), uno tra i più grandi artisti statunitensi del Novecento. |
Pittore della vita quotidiana, delle solitudini umane e dei paesaggi, è certamente il riconosciuto caposcuola del Realismo americano. Il percorso dell’artista è ricostruito con 160 opere provenienti da collezioni internazionali. La rassegna, suddivisa in sette sezioni, rispetta un ordine tematico-cronologico e ripercorre la produzione di Hopper dalla formazione accademica agli anni trascorsi a Parigi, sino al periodo “classico” più noto degli anni Trenta-Cinquanta, per concludersi con le grandi e intense immagini più recenti. E proprio a Parigi si reca più volte tra 1906 e 1910. Come altri giovani, del resto, della sua generazione, vede nell’Impressionismo la grande svolta per studiare i pittori della luce che ancora mantengono la figura all’interno delle loro opere, ma la sfaldano fino a portarla al concetto puro. La sua opera giunge in Italia portando con sé quel peculiare universo malinconico, solitario, metafisico e al contempo reale per cui Hopper è conosciuto in tutto il mondo. La sua pittura ci conduce in un mondo apparentemente asettico e potentemente evocativo in cui l’elemento dominante è la solitudine e la profonda tristezza di uomini e donne senza speranza. Spaccati di vita metropolitana e rurale, visti con l’occhio analitico del fotografo e trasmessi sulla tela con lo spirito del poeta, sembrano far vivere al pubblico un paradosso visivo: un assordante silenzio di poesia.
Un realismo autentico, quindi, frutto di spunti di realtà. I suoi sistemi compositivi costruiti attorno agli individui, sono indifferenti al loro pathos. Dipinge persone in quanto materia immersa nell’ombra e nella luce. Hopper è un solitario, un tradizionalista, che non agisce all’interno di un gruppo; soprattutto è un pittore che insiste sulla figurazione quando le correnti europee la consideravano superata e inadatta a rappresentare l’enfasi modernista del Novecento.
Un’occasione, questa milanese, che permette al pubblico italiano di approfondire l’arte dell’artista, attento osservatore della società americana e che riversa nelle sue opere atmosfere vuote, silenziose e rarefatte, dove l’inquietudine, la solitudine esistenziale e l’incomunicabilità dell’uomo moderno sono gli unici protagonisti. Acquerelli, incisioni e tele a olio accompagate da disegni e schizzi preparatori permettono di seguirne l’ideazione: paesaggi, scorci urbani, case isolate e interni. Tutto sospeso in un’atmosfera senza tempo.
La solitaria poesia delle opere di Edward Hopper può anche dare l’occasione per tentare di comprendere l’attualità e l’America di Barack Obama: attraverso gli sguardi realisticamente sorprendenti del più popolare artista americano del Novecento è possibile arrivare a comprendere le radici dell’oggi. È il tentativo non nascosto della rassegna già considerata evento clou dell’autunno-inverno, che prima Milano, poi Roma, evidenzia un disagio mai così attuale: la quotidianità e la solitudine dell’uomo moderno. Un segreto forse Hopper l’aveva: padroneggiava perfettamente quel taglio cinematografico che ha elevato a poesia le fatiscenti facciate dei negozi anonimi, le pompe di benzina, gli edifici urbani, gli scorci di vita nei tranquilli appartamenti della middle class americana, le tavole calde, le sale di cinema... Frammenti di quotidiano elevati a vere e proprie icone. L’esposizione è anche arricchita di un importante apparato fotografico, biografico e storico, in cui viene ripercorsa la storia americana dagli anni Venti agli anni Sessanta del secolo scorso: la grande crisi, il sogno dei Kennedy, il boom economico.
Un percorso affascinante, dunque, e particolarmente “toccante” da cui si esce pensierosi, con il desiderio di essere diversi, di cambiare atteggiamento soprattutto verso gli altri e verso se stessi. Non sarà per niente facile dimenticare lo struggente realismo di Edward Hopper e le immagini nitide delle sue donne che paiono contemplare indifferenti e quasi stupite la loro solitudine.
Clelia Ginetti

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