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  Cultura
 672 - TEMPO DI MATRIMONI NELLA ROMA IMPERIALE

 

       

   note di cultura mediterranea

 

   a cura di Franca Giusti

  

     « è sul margine di una pagina d’altri che ci si  annota »

    [Delfino Maria Rosso in  www.gliannidicarta.it ]

 

La convivenza, l’unione senza contratto civile né religioso, era già in voga nel’antichità, in Grecia come a Roma ma sicuramente le nuptiae, le nozze, erano preferibili per le famiglie dabbene.  

Le paelices, conviventi, allora come oggi, avevano solo oneri e non onori. Curioso è notare come alle patners, concubine, fossero preclusi i luoghi sacri, il tempio di Giunone in particolare. Primavera e tarda estate erano i periodi ideali per le feste di nozze. Solo i cives romani,  uomini liberi, anche plebei ma non schiavi avevano diritto alle giuste nozze. Doveva essere un’unione retta sull’affectio maritalis sul’affetto ed esclusivamente tra un uomo ed una donna, liberi, che non fossero già sposati ad altri, di buon carattere, non furiosi né insani di mente tantomeno strettamente imparentati fra loro e che fossero in grado di promettersi fedeltà fra loro.

L’adulterio non era ammesso nella buona società, praticato ma se scoperto, severamente punito. Un’antichità seria e severa, sembrerebbe pudica ed un po’ bacchettona diremo oggi, in realtà c’erano ottime ragioni alla base del regolamento, i romani sapevano bene cosa li rendeva grandi agli occhi del mondo: sobrietà e rigore, l’abitudine all’obbedienza. Si poteva far tutto, non v’era dispregio per nessuno.

Esistevano conviventi, omosessuali, mercenari del sesso ed i lupanari erano legali ma i diritti civili e la benedizione degli dei erano solo per chi viveva secondo giuste nozze. Solo così avrebbero potuto salvare la stirpe, la Gens, l’orgoglio ed il decoro della nobiltà romana, invogliando i singoli ad uno stile di vita superiore. Il matrimonio riconosce il delicato ruolo di maternità, per il quale era necessario il congiungimento, riconosciuto per legge, con un uomo. L’importanza del ruolo femminile in società ci è spesso rivelato dalle epigrafi, qui viene distinta l’uxor dalla mulier, coniux dalla domina e la mater. Moglie fedele, madre premurosa, signora della casa. Ma la passione era n’altra cosa. L’eros era un atteggiamento dell’anima, una sorta di divino, uno strumento che conduce alla conoscenza. Eros è infatti, nel mito di Platone, figlio di Espediente e Povertà, è il dio dell’amore e della forza; la forza dell’amore lega tra loro due esseri umani.

Abbiamo già accennato al concetto di calòs cai agazos, ciò che è bello è anche buono e viceversa. La bontà di un’idea diventa una bella forma ed il fine di una vita umana diventa contemplazione di Dio. Si può amare senza voler bene e viceversa. “Cos’è che mi porta ad amarti di più e a volerti meno bene?” si domanda Catullo. Amare significa possedere, voler bene equivale a render liberi. Solo Eros avrebbe permesso di unire le due cose e raggiungere il mondo perfetto. Una coniux era così una donna unita, congiunta ad un uomo. Una uxor lo era per legge e sotto le lenzuola. Una domina era molto di più, unita in matrimonio, sposa e amante nonché signora del destino di un uomo. A ciascuno la sua scelta.

 

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