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Tempo Libero
651 - Metodi per viaggiare nel Sahara |
UN GIORNO NEL DESERTO
Il giovane che mi accoglie vedendomi apre gli occhi in segno di meraviglia, in un attimo abbassa il volume assordante dello stereo, si riaggiusta il collo del barrakano che gli era sceso aprendosi perché lacerato sino a scoprire un seno, poi, con lo sguardo sconcertato si avvicina porgendomi la mano in aiuto allo zaino che portavo nella mano,”marrababik (benvenuto) siete capitato nel più ospitale e ordinato hotel di tutto il Sahara, qui potrete riposare e avrete ospitalità e cortesia”. Lo dice tutto di un fiato, imparato, memorizzato e recitato. |
Mostro il mio passaporto, vede che sono italiano, inizia e tronca subito lo stereotipato ritornello ormai ascoltato in ogni parte, “ baggio, spaghettii, maf….” Il mio sguardo di disapprovazione non è capito, dentro me un pensiero stereotipato allo stesso modo ” Leonardo, Dante, Galileo, ma è tutto inutile.
“Gli affari vanno bene da quando in Algeria ci sono i massacri dei terroristi la gente si è spaventata”, commenta imbarazzato il ragazzo. Ora vengono qui in Libia dove le cose vanno meglio... Il prossimo mese dovrebbe arrivare un gruppo di francesi. Vogliono salire sulle dune in groppa ai cammelli. Cercheremo di accoglierli nel migliore dei modi ma abbiamo bisogno di valuta straniera per far fronte alla manutenzione dei locali”.
La cucina dell’albergo non funziona, le piante del giardino sono tutte bruciate dal sole. In camera c’è un caldo soffocante, sul soffitto la grande ventola rimane implacabilmente ferma, rotta da chissà quanto tempo. Il bagno comune è assaltato dagli scarafaggi, dal rubinetto esce solo un filo di acqua rossa che cade sui piedi da uno scarico inesistente. Un foglio scritto a mano ricorda di non sporcare. Decido di scaricare i bagagli e fare un giro nel villaggio.
Qui nell’estremo sud della Libia gli abitanti sono Tuaregh, camminano velati, il lembo dei loro turbanti sventola come bandiera al vento del deserto, oggi la sabbia inonda le strade. Le donne sono tutte a lavare i panni in uno stagno e si riparano avvolgendosi in lunghi veli colorati. Poco più in là, i bambini escono dalla scuola coranica ripetendo a voce alta i versetti sacri imparati a memoria.
Al di là del palmeto sulla parte alta comincia lo ksar, la parte vecchia dell’oasi, un mosaico di edifici squadrati, identici tra loro, rossi come il sole al tramonto. In un vecchio atelier faccio conoscenza di Karim, un artigiano che lavora il metallo, ferro e argento con utensili primitivi, lui viene dal Niger come la piccola comunità di artigiani che abita in questi piccoli edifici di fango. Fabbricano croci tuaregh, oggetti un tempo custoditi gelosamente come simboli d’appartenenza alla propria tribù, un arte antica dice, svilita oggi dopo che è diventata un prodotto amato dagli occidentali.
Mi spiega. “oggi i giovani pensano a tutt’altro... Colpa dei turisti e del loro modo di fare: vengono nel Sahara in cerca di avventura e di emozioni forti, sfrecciano veloci con i loro fuoristrada, scattano montagne di fotografie, riempiono boccette di sabbia per farne dei souvenir... Ma non si interessano della nostra cultura e tornano a casa senza aver capito i veri segreti del deserto”.
Da Ghat parte un itinerario straordinario: 280 km di percorso quasi circolare, dentro a montagne e ad un mare di sabbia, un luogo in cui sono custodite le tracce di popoli antichi, graffiti e pitture rupestri, ma questo sarà forse domani, con Mohammad, una guida che ho incontrato nella strada, un uomo che non è del posto, ma si sa muovere bene nel deserto. “Sono originario di Janet” dice, “che è dall’altra parte del confine in Algeria. Ho fatto sacrifici per trovare lavoro nel mio paese. Tutto inutile a causa della guerra ho dovuto espatriare”.
Così Mohammad si è trasferito a Ghat , nel cuore del Sahara libico, un amico gli aveva detto che lì poteva essere una soluzione per guadagnare soldi organizzando escursioni per i turisti. “Ciò che più mi fa rabbia è che i terroristi dicono di uccidere in nome di Allah”. Si sfoga. “Così in Occidente l’Islam viene dipinto come una religione ostile, chiusa, squassata dal fondamentalismo. Ma il Corano insegna la tolleranza e la fratellanza. E la maggior parte dei musulmani lo sanno e vuole solo la pace”.
Mohammad è un musulmano mite, tollerante, ma assolutamente rigoroso. Anche nel deserto non rinuncia alle preghiere prescritte dalla sua religione: osserva il sole per individuare la direzione della Mecca, srotola un piccolo tappeto, sgrana il rosario e comincia le abluzioni. E’ un rituale che rinnova cinque volte al giorno e che conclude ripetendomi sempre la stessa cosa: “Se ti avventuri nel deserto non puoi permetterti di dimenticarti di Dio”.
Marino Alberto Zecchini

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Elia Finzi |

Tunisi 1923-2012
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