Il Corriere di Tunisi 
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  Zibaldone
 744-747 - un racconto di delfino maria rosso

 

 

non si impara mai niente  a questo mondo. nell’altro non so. non si impara  neanche dai nostri errori. e neanche da questa storia. che è iniziata per caso.  beh, succede. una stucchevole storia amorosa difficile da raccontare. uffa, no, non voglio raccontarla. chiedetelo a lei.  lei, sì che ne conosce tutte le pieghe. comprese quelle brutte. lei che si crede chissà chi. da disinvolta  provinciale deve aver letto la lezione di jonesco.  confondendone però le parti. collezionista di vite al maschile [elenco non riportato] nel fare l’inventario si era accorta che le mancava il gatto dalle unghie gentili. non impiegò molto a procurarselo. già, esistono anche gatti creduloni. e persino un po’ fragili. di certo non vanno in giro a piagnucolare.  se ne vanno.  e basta. così lei ha finito col fare il bello e il cattivo tempo. uffa. cioè: col dettar legge. tra i tanti miao sprecati. nell’improbabile gioco del e su, dai! dove lei sola giocava.  beh, di tutto questo non resta che qualche  pagina  scritta di volta in volta.  così come le circostanze suggerivano. hanno un numero progressivo e un titolo che non  è  necessariamente il tema (che non esiste) del testo in prosa.  o quasi. non resta che leggere. o voltare pagina. anche dopo l'ultima.

 

------------ 1 -  uffa -------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

uffa, mi dicevo tra me e me. però lo dicevo tanto per dire. mica per lamentarmi con qualcuno. io non mi lamento mai. non amo piagnucolare. poi lo dico sempre perché è un mio modo di dire. solo che dovevo prepararmi le unghie. beh, le preparo sempre. anche se non servono. un giorno o l’altro potrebbero servire. non si sa mai. potrebbero. sì, io ho molta cura di loro. mi servono per graffiare. a me piace molto. voglio dire graffiare.  non so perché. so che mi piace. se lei mi vuole. beh, non mi pare una cosa strana. per me sarebbe strano il contrario. poi, a dire la verità, non m’importa così tanto quello che pensano e fanno gli altri. gli altri sono gli altri. e io sono io. per questo guardo con attenzione le mie mani. le dita. e le unghie. soprattutto. le amo. ma non sono il solo. uffa, non so perché sto raccontando queste cose. non voglio mica farmi bello. lo sono già. poi non voglio proprio insegnare qualcosa a qualcuno. i gatti imparano da soli. acci, (a volte mi scappa dai denti. così risparmio di dire una parola lunga) sembra che io oggi voglia fare il filosofo.  no, non è così. solo che sono inciampato in una imprevista storia di gatti, cani, delfini, ricci. gesù, c’è persino un’orsetta. che non andrebbe per ultima se fossi andato per ordine d’importanza. uffa, chissà adesso cosa penserà di me. magari niente. beh, a me però piace pensare che mi pensi. sono fatto così. se non fossi fatto così questa storia non sarebbe nemmeno iniziata.

 

---------------- 2 - digitando un sms rosé --------------------------------------------------------------------------

 

no, no non è andata come voi pensate. io. beh, sì io me ne stavo rincantucciato in me stesso. io sto quasi sempre rincantucciato in me stesso. anche se gli altri non mi credono.  quando è arrivata lei. sì, lei la ragazza del lago. anche se eravamo al mare. ma io non potevo sapere che lei veniva dal lago. non me lo aveva detto. ancora. io per lei sarei diventato persino un poeta se solo mi avesse degnato di uno sguardo. anche di quelli comuni. voglio dire di cortesia. io non so bene cosa sia successo quel giorno. uffa, non è che io abbia cattiva memoria. solo che proprio non lo ricordo. però ricordo che ci siamo salutati come stranieri in terra straniera (mi piacciono i riferimenti da romanzo rosa). ah sì, ricordo anche il saluto di circostanza da “torno in italia, addio”: bacio sulle guance. prima una poi l’altra. ricordo, sì questo lo ricordo chiaramente, che tra l’usanza latina e quella araba (tunisina) stavo inciampandomi nella sua lingua. no, non pensate che lei. no, no lei era una ragazza per bene. gesù, le ragazze sono sempre per bene. e non avrebbe mai messo lingua nella mia incertezza. glielo ho detto. cioè, del pericolo corso. per fortuna (più sua che mia) partì con il primo aereo. io sono rimasto a terra. cioè a tunisi. io vado sempre a tunisi. a tunisi amano i gatti. sono ritornato anch’io in italia. poi è andata come è andata. per colpa (o merito) di un incauto biglietto da visita (mezzo italiano e mezzo arabo) sono diventato un poeta:

 

- digitando un sms rosé -

 

- un buongiorno

a strizzolina.

e ai suoi tre

bottoncini.

 

- tre?

 

- il terzo

di solito

 si nasconde.

è timido.

e anche

un po’ lunatico. –

 

[strizzolina – s. f. (v. orsetta)]

 

sì, lo so, dante ha scritto di meglio. ma anche lei non è beatrice. poi a differenza di loro noi finiremo all’inferno. uffa, non riesco mai a vivere senza paturnie una storia amorosa. eppure non faccio del male. le mie unghie sono curate sino all’inverosimile.

 

---------------- 3 - una certa storia incerta --------------------------------------------------------------------------

 

ecco, io non ho capito. eppure in questa certa storia incerta mi ci trovo dentro.  un po’ come in maria. voglio dire: nella storia di maria. che con il tempo ha cambiato anche nome. oh, sì gesù, ora sono davvero nei guai. il passare degli anni non mi cambia. non perché io non sia sempre bello. ma perché non imparo niente. forse non c’è niente da imparare. ma non è vero. questa volta no, non è vero. questa maria mi insegna molte cose. ecco, io ne sapevo poche, questo sì. ma lei ne sa davvero tante. a volte mi costringe persino a raccontarle i miei scarabocchi. beh, non è una cosa da tutti i giorni. non sempre si ha a disposizione una carta blu zucchero. è vero: lei ama le nuvole. ma mica uno può avere sempre a disposizione l’inchiostro bianco. e poi ama anche il lago. lei lo chiama il “suo”. a dire la verità a volte mi pare un po’ presuntuosa. però non posso farci niente. non posso mica bermi tutto quello che mi dice. mi sembra saltata fuori da un cilindro di un prestigiatore. no, non come un coniglio. come un’orsetta. sì, una di quelle che si mettono sul cuscino dei bambini per farli stare buoni. arriva (scrivo al presente perché lei mi rimprovera sempre il passato) dicendo che l’unica cosa certa è l’incertezza. sì, dicendomi così. e viene proprio dirlo a me. io che sono tornato da tunisi con un sacco di interrogativi. ma anche esclamativi. non è giusto che adesso mi abbandoni in mezzo a tutte queste incertezze sul futuro.  io credo sia una bella frase quella che ha detto. gesù, ma è roba da intellettuali. di quelli che lavorano gomito a gomito con le istituzioni. il guaio è che io non posso deluderla. se lo facessi dovrei cambiare i sandali. beh, il discorso a voi potrebbe non dire niente. anche a me non avrebbe detto niente se in un sabato non avessimo insieme fatto colazione al bar.  adesso è chiaro anche a voi. non sapevo se potevo dirvelo o meno. non che la cosa sia grave. solo che dicono sempre di mantenere una certa riservatezza per certi dettagli. io penso di essere riservato. e anche lei lo è. per questo forse non dovevo dirlo. uffa, questa mia incertezza mi impedisce di muovermi liberamente. poi non le ho mica chiesto di mettersi a cavalcioni per farmi trattenere le parole fuori luogo in bocca. lo so, l’ho persino già detto. io non sono un intellettuale. però anch’io volevo dimostrare di sapermi muovere con una lingua nuova. è brutto essere fraintesi. ma comunque io non ho imposto niente. e come si fa imporre qualcosa quando tutto è così incerto. può anche essere bella l’incertezza. sì, proprio bella. con lei, l’incertezza, niente è scontato. però si paga tutto. a prezzo pieno. oh, sì tutto. a volte si può persino piangere. a me è successo. avrei voluto chiedere consiglio a chi ne sa di più. beh, lei ne sa di più. proprio di più. solo anche lei qualche volta deve aver pianto. uffa, allora così si complica tutto. o forse no. chissà. l’unica cosa certa è che io devo essermi di nuovo innamorato.

 

---------------- 4  - a...  ---------------------------------------------------------------------------------------------------

 

certo che come gatto devo essere un po’ strano. sembro più un cane. o forse il contrario. uffa, non so mai chi sono. ma anche gli altri non lo sanno. allora si tira avanti come si può. qualcuno dice come si vuole. non sa di dirsi una bugia. sì , a se stesso. o forse lo sa. anch’io, a volte, mi racconto bugie. certo che se vivessi al lago allora. però dovrei curarmi di più le unghie. è vero. gesù, lei potrebbe lamentarsi di essere sempre tutta graffiata. o dei troppi graffi che rovinano la pelle. direbbe, oh sì direbbe: un po’ va bene, ma poi basta. a  dire la verità non si è mai lamentata. e nemmeno io. non ci si stanca a suonare. cioè: non mi stanco di suonare. sì, suonare perché io mi sento come una grande musicista quando la sfioro e la graffio. credo che nemmeno le mie unghie si siano mai lamentate. non mi hanno mai detto niente. fanno il loro lavoro gentile. secondo me sorridendo. non solo (le mie unghie) sono belle. sono proprio anche agréables. lo dico in francese perché non mi  viene in italiano. l’ho già detto: io vivo a volte in tunisia. sì, a volte. beh, ma poi vivo? poi adesso vivo al lago. si fa per dire. anche se è distante da casa mia. ma non così tanto. è a un tiro di voce. anzi solo quello. non è facile, sapete, vivere così. chiedetelo al gatto-senza-ossa. perché non mi capite? uffa, io non sono uno di quelli che amano raccontarsi. questo lo fanno già in tanti. e io non sono uno dei tanti. anche lei non lo è. per questo penso al lago. anche se io non ho mai amato la sua tranquillità. voglio dire del lago. però mi piace l’idea di graffiare sulla riva. beh, c’è sempre tanta gente lì. ma cosa può importarmi dell’invidia degli altri? uffa, intanto però io sono qui e lei là. nel suo lago. le vorrei almeno scrivere questo sms:

 

- quando

 

mi sentirai

sgocciolare

via da te

a qualsiasi ora

cercami

e io

da te verrò

per leccarti

la ferita

che

ti ho aperto –

 

ma ho paura di essere frainteso. poi non potrei nemmeno farlo. sono sicuro che qualcuno mi sta guardando. così ho portato il dito indice della mano destra alla fronte. anch’io, quando sarò grande, vorrò fare l’intellettuale. sto studiando per farlo.

----------------- 5 - nel suo lago -----------------------------------------------------------------------------------------

 

no, così non va bene. uffa, devo smetterla di fare il poeta. se no si abitua troppo bene. mi spremerà come un limone per tirarmi fuori le parole più dolci per lei. non che sia una brutta cosa. i gatti e i poeti li devi corteggiare se li vuoi tenere in casa. però adesso vorrei fare di più il gatto. e meno il poeta. anche un intellettuale, sì, un intellettuale, ha bisogno di vivere con i piedi per terra. beh, io ho sempre avuto i piedi per terra. è che la testa mi è rimasta tra le nuvole. no, non quelle di un lenzuolo blu notte. dico proprio nuvole nuvole. così la gente non mi prende in considerazione su tante cose. anche se a me interessa solo la sua considerazione. lo so che questo è un rischio. ma non posso farci niente. uffa, devo correrlo e basta. se voglio ancora ascoltare la voce del lago. poi non rubo mica niente a nessuno. anche se a volte rubo ore al mio sonno. così questa notte inseguito dalle lancette di un lago inquieto ho scritto:

 

- nel suo lago

 

l’orsetta lavatrice

festeggiò

il 36

con una lunghissima

a (seguita da una h)

davanti

ad unica  voce

presente.

seguì un altrettanto

lunghissimo

i (accentato)

(preceduto da una s).

non è dato

di sapere se

stesse imparando

il vecchio alfabeto.

di certo qualcosa

stava imparando – 

 

[cfr. nota in digitando un sms rosé]

 

gesù, però adesso basta. non voglio mica passare alla storia come un perditempo. a me piacerebbe fare il bellimbusto. ma se vado avanti così non ho il tempo per imparare. sì, mi piacerebbe. anche se lei continua a nascondermi alle sue amiche. uffa, su questo argomento ha sempre la luna per traverso. ma poi non è nemmeno vero quello che dico. però non lo dico tanto per dire. sono solo, ecco sì, solo un po’ confuso. beh, sarà il sole del lago. o l’alfabeto. che è da ripassare.

 

------------------- 6 - un lunedì mattina ---------------------------------------------------------------------------------

 

oggi (lunedì) mi alzo presto. 07:30 per me. devo correre al lavoro. così presto da avere il tempo di fare colazione. al bar. il solito. tavolino nel dehors in fondo a destra. tovaglietta dai lunghi risvolti. colore: rosso. tra il rimpianto e il rimorso. cappuccio (dec) e brioche. poi un sorso d’acqua. come ieri (domenica). mi sfilo il sandalo destro. accavallo le gambe sul ginocchio sinistro. il risvolto della tovaglia nasconde agli altri una scena che non c’è. il cameriere (tony. o qualcosa del genere) vorrebbe sapere “cosa ho”. deve essersi accorto della mia assenza. sono assente. dovrei rispondere “cosa non ho”. non rispondo. colazione strana. confusa. eppure è esattamente quella di ieri (sempre domenica). bastano poche ore perché tutto cambi. i luoghi stessi cambiano aria. niente è più come prima. l’indifferenza di ogni mattina ha ceduto il passo a una faccia stralunata. gesù, eppure non sono un romantico. o forse sì. a modo mio. che non è l’unico. questo l’ho imparato. c’è sempre da imparare. anche se a volte se ne farebbe a meno. già: niente è più come prima. persino un film visto chissà quante volte. è con le labbra sospese tra la curva del riso e quella del pianto che si impara a condividere e condividersi. a volte succede. sino a quando su un 2 metri per 1 e 60 di cielo blu notte appaiono maliziose nuvole bianche dovute alle incantevoli mani di un pollock imprevisto in versione 2000 e 8. colazione fatta. credo. ri-infilo il sandalo. e corro al lavoro. questa volta con insolita puntualità. prima o poi sarebbe successo.

 

--7 - verso l’ora di pranzo in riva ad un lago che non è proprio a due passi da casa mia ---

 

ecco, no. invece sì. sì, può essere. io non ero con lei in riva al lago. lei lo era. perché me lo aveva detto. io le credo sempre. è vero. le credo anche quando dice le bugie. io invece non sto dicendo una bugia. solo che non so se è la verità. lei prendeva il sole. io l’ombra di casa mia. mi sarebbe piaciuto essere là. però io non amo l’acqua. e nemmeno il sole. però amo lei. e questo mi pare basti. dovrebbe bastare anche a lei. non sono mica un bel giovane arabo e basta. lo so: sono bello. e basta. uffa, questa storia della mia bellezza mi perseguita. anche da bambino mi perseguitava. ma ora sono cresciuto. e non poco. però la storia non è cambiata. forse domani quando sarò più grande non mi perseguiterà più e vivrò meglio. o forse il contrario. non lo so. è sempre tutto così difficile nella vita. come non potersi coricare accanto a lei. già lei era al lago. e io qui. questo ve lo avevo già detto. comunque la mia confessione non è una soluzione al mio problema. gesù, i km (chilometri) sono km (chilometri). e quando sono tanti sono tanti. e poi oggi è domenica. mica posso inventarmi una magia anche in un giorno di festa. uffa, sì io fantastico. ma non posso mica fantasticare anche nelle feste comandate.  poi io sono molto occupato. io sono sempre molto occupato quando non ho niente da fare. così mentre lei era con il cappuccino in religioso silenzio. io mi stavo facendo una pasta. non  male. anche se asciutta.  poi lei mi ha chiesto come era. e io le ho risposto soddisfacente. le ho anche ricordato che sono una buona bocca. se lo ricordava. che non vuole dire di bocca buona. lo sapeva. uffa, non si poteva mai dirle niente che lei non sapesse già. io credo, sì, questo lo credo per davvero, che un giorno diventerà importante. non che non lo sia già. non voglio dire per me. ma per il mondo intero. voi starete pensando che io esageri. no, non sto esagerando. io riesco a immaginarla mentre corre lungo il lati di questo nostro cubo. sì, corre da destra a sinistra (anche se non va più di moda) per annunciare la buona novella. sbattendo le ali dirà: ecco, sta per arrivare lui. che sarei io. in realtà non so se io poi arriverei. perché io sono sempre molto occupato quando non ho niente da fare. ma, in coscienza, non posso nemmeno farle fare brutta figura. un casino (lei dice sempre questa parola per dire confusione. è giovane), insomma. e pensare che alla fine una soluzione per arrivare da lei l’avevo trovata. nonostante la pasta (quella asciutta) avevo un vuoto. avevo voglia, sì avevo voglia (anch’io a volte ho delle voglie. ma non di fragole) di nuvole di drago. quelle che si mangiano al ristorante cinese. noi andiamo spesso al cinese. non perché è sempre aperto. ma perché è di una mia amica (cinese) che se va  fiera di farmi mangiare le sue nuvole. però questa volta io volevo mangiare le nuvole dell’amore. sì di lei al lago. però io non potevo arrivare là. allora ho pensato che se fossi stato il sole ci sarei arrivato. credo fosse coricata sulla sua sdraio.  se solo lei mi avesse lasciato entrare. così davanti a tutti sul molo. gesù, sul molo. sarebbe bastato che lei scostasse leggermente le ginocchia. sono arrivato quando il sole era già tramontato (24 agosto). ho aspettato l’alba (25 agosto). inutilmente (26 agosto).

 

------------- 8 - dalla finestra si vedeva il fiume -----------------------------------------------------------------

 

sì, quel giorno il  lago era arrivato in città. davvero, sì, in città. e per di più a casa mia. non mi sono preoccupato. se si guardava con attenzione dalla finestra si vedeva il fiume scorrere tranquillamente. tra le sue due rive. gesù, mica è uno dei quei fiumi travolgenti. come gli amori da rotocalco. è discreto. come gli abitanti di questa città. che sanno più di provincia che di metropoli. ma intanto a me loro non interessano. o almeno non interessano più. non perché vivano senza sbavature. ma per il loro troppo rigore. uffa, passano le loro notti a cancellare i segni dei loro amorucoli da dovere coniugale.   beh, non capirebbero mai che le lenzuola  blu notte non vanno cambiate. perché mai l’orsetta lavatrice dovrebbe perdere tempo. può essere dedicato ad altro. e poi, sì, certo e poi come potrebbero mangiare al curdo una baklava volutamente con una sola forchetta? no, non sarebbero mai andati, in un fine settimana jazzato, a cena con la grancontessa matilde di canossa da mantova in osteria. si sarebbero smarriti davanti a un bicchiere di rosso delle marche. beh, a dire la verità, un po’ si sono smarrito anch’io. ma dopo averlo bevuto.  non è in un secchiello d’argento con lo champagne che ci si cura le unghie per la dolcezza. uffa, che fatica far capire questi dettagli amorosi. ma poi perché? mica sono un predicatore. non devo mica salvare il mondo, io. se si salva si salva da solo. boh,  io mi interesso solo di cose serie. di quelle piccole, marginali. i titoli a piena pagina li lascio a quelli che sanno. purtroppo. no, il purtroppo non è perché io sia dispiaciuto di questo.  anzi, io amo muovermi non tra le cose che contano. ma quelle che cantano. è che poi anche loro ti scivolano di mano. già. però questo non vuole dire che le mani che scivolano siano brutte. anzi. solo che c’è modo e modo di scivolare. al lago si scivola sempre per un sms rosé. con gli occhi rivolti verso al cielo che sta di sotto. cioè, voglio dire, in basso. qui è stata un’altra cosa. non so come spiegarmi. ho ancora la bocca un po’ impiastricciata da parole che non riuscivo a dire. beh, forse non si capisce tanto. ma a me non importa essere capito. e neanche a lei. credo. posso solo dire che ha imparato un’altra lettera del vecchio alfabeto. la u (seguita da una h e una m). l’ha detta tante volte.

 

-------------------- 9 - oggi sono proprio triste -----------------------------------------------------------------------

 

oggi sono triste. non che io sia sempre allegro. però oggi sono proprio triste. triste come un treno che parte. voglio dire: con qualcuno. e tu resti a terra. uffa, lo so che questa immagine è da romantici. io non sono un romantico. quando sarò grande spero di piacere alle ragazze per l’aria da duro che avrò. comunque sono restato a terra, questo sì, ma non sono proprio un romantico. beh, nessun gatto può esserlo. nemmeno quelli che graffiano con le unghie gentili. figuriamoci poi adesso che sono anche senza ossa. no, la storia del gatto-senza-ossa  non la racconto. a nessuno. basta. certo che come storia è proprio (non trovo l'aggettivo. troppo banali quelli comuni). il tempo ci va sempre troppo  stretto. e non di una taglia sola. gesù, mi sono detto, non sarebbe giusto che lei partisse prima ancora di essere venuta. è vero, i gatti non sono tanto ospitali. però io non voglio essere proprio come tutti gli altri. voglio sempre essere l’irripetibile (forse buffone). anche quando sono il gatto. se fosse lei a scrivere qui ci metterebbe un miao lunghissimo. va beh, c’è una confusione di ruoli in questa storia. facevamo che li lasciamo così? tanto non cambierebbe niente. se c’è una cosa certa è che adesso lei mi manca. però anch’io manco a lei. se però io fossi da lei lei non me lo direbbe. lei non dice mai bugie. questo l’ho già detto anche un po’ di tempo fa. ma voi pensavate che io scherzassi. no, io non scherzavo proprio. quando sarò grande ritornerò in treno a tunisi. così magari la incontro di nuovo.  lei mi dirà: visto che nessuno mi presenta mi presento da sola. io farò finta di niente. perché questa volta io so chi è lei. ma non glielo dico. anche lei sa chi sono io. boh, tutta questa messa in scena per evitare di dirci: mi sei mancata, mancata [puntini di sospensione]. è brutto essere orgogliosi. sì, me ne rendo conto che tutto è complicato. comunque è sempre così. o quasi. bisogna sapersi abituare a vivere per scampoli. io lo sto facendo. non so se ci riesco. forse no. anche se io sono disposto a pagarli più della pezza intera. però non voglio che siano in saldo.  lo so, sono po’ aristocratico. non mi piace snob. aristocratico sì. beh, tanto questo discorso non porta da nessuna parte. sono qui che guardo le mie mani. ho le unghie curate. mi interrogano: e adesso? preferisco non rispondere. anche perché non saprei cosa dire. uffa, chissà dov’è finito l’orario dei treni.

 

------------------ 10 - mi manchi -----------------------------------------------------------------------------------------

 

già si dice sempre: mi manchi. in tutti i film d’amore dicono sempre: mi manchi. però quando lo si dice per davvero allora incominciano i guai. beh, non sono proprio guai. vuole dire che ci si sta innamorando. o forse lo si già. io non me ne intendo di queste cose. io sono un duro. mica una donnicciola. ehi, anche lei non lo è. voglio dire, lei è una donna vera. con tutto. lei non è mica una di quelle a cui scappa la pipì per strada e deve farla davanti a tutti. così lei un giorno mi ha detto che le mancavo. oh, sì gesù, proprio così mi ha detto. io non ci volevo nemmeno credere. ma lei mi ha anche detto di non dire bugie e allora io non potevo non crederle. beh, mi chiedevo come poteva innamorarsi di me. io non sono un chiacchierino. non parlo tanto per parlare. quando parlo, se parlo, è  solo per dire cose importanti. meno di quando scrivo, però. e a pensarci bene devo ancora crescere. chissà dove arriverò. adesso sono preoccupato. in genere nei romanzi che ho letto (come i promessi sposi) poi lei chiede: mi amerai per sempre? ecco, io non saprei cosa rispondere. certamente direi di sì. anche se non so quanto sia lungo un per sempre. però direi di sì. se io dicessi di no allora lei di sicuro tristemente mi chiederebbe: mi consolerà la/il baklava? (lei mi combina sempre questi casini con i punti interrogativi ed esclamativi).  uffa, io non ho nemmeno la baklava. ma il suo ricordo. che è più dolce. ne abbiamo mangiato una una sera al kirkuk. ci siamo impiastricciati tutta la bocca. avevamo deciso di usare una sola forchetta in due. siamo stati bravi. proprio bravi. la gente intorno ci guardava (con timore ci facessimo del male). come fossimo due scavezzacolli. invece noi eravamo semplicemente innamorati. la gente complica sempre le cose. per darsi delle arie, sì, proprio così. non che ci si aspettasse un applauso. però almeno un “bravi!”. a me fa piacere quando mi dicono che sono bravo. ma a volte anche no. dipende da chi me lo dice. va beh, è andata come è andata. in fondo questa più che una storia è una favola. del tipo: c’era una volta. adesso non mi sento più tanto tranquillo. sono un po’ confuso. ecco tutto. non so nemmeno più se lei mi ha detto: mi manchi. però me lo ha scritto.

 

----------------- 11- il giorno del riccio --------------------------------------------------------------------------------

 

oggi, ecco. no forse ieri. o domani, ho incontrato il gatto dalle unghie gentili. non gli ho parlato. sapete, anch’io ho i miei pensieri. mica posso sempre pensare agli altri. comunque, a dire la verità, non l’ho visto molto bene. beh, sì, l’ho visto con gli occhi lucidi. e bassi.  io faccio sempre molta attenzione a quello che vedo. cioè, voglio dire, lo vedo proprio. sarà perché amo i dettagli. oh, sì, i dettagli. io vivo con loro.  voi mi dite: perché tu sei un dettaglio. beh, questo è vero. ma cosa posso farci. lo sono. e basta. però io l’ho visto che mi sembrava un riccio. sì, chiuso come un riccio. conoscendolo so che non lo fa per fare del male agli altri. lo fa per difendersi. ma da cosa poi. spesso i gatti diventano ricci. ma nessuno se ne accorge. sì, per davvero. nessuno se ne accorge. voglio dire prima che se ne siano andati. loro non hanno padroni. non sono mica dei cani. boh, non so cosa dire. forse è un po’ colpa mia. sì, davvero mi sento un po’ in colpa. avrei dovuto dirgli: cosa hai? ma non ne avevo voglia. uffa. l’ho già detto: anch’io ho i miei pensieri. non sono importanti. ma sono i miei. qualcuno, sì, forse qualcuno, si chiederà cosa è successo. e come faccio a rispondere io. ci sono gatti e gatti. lui è (stavo per scrivere era) uno fatto così.  male. ma così. sì, ho guardato con attenzione le sue unghie. beh, non mi sono sembrate molto ben curate.  gesù, io non me ne intendo. neanche di graffi. però ricordo, questo lo ricordo perché l’ho notato più volte, sembrava andasse orgoglioso delle sue unghie. che però non erano cattive. mi facevano tenerezza. non so perché sto dicendo queste cose. mica devo difenderlo. poi non so neanche se lo incontrerò ancora. il mondo più che misterioso a volte è buffo. e non fa nemmeno ridere. in fondo tutto ha una fine. forse anche il gatto dalle unghie gentili. come le cose inutili.

  

--------------- 12- che fine avrà mai fatto -------------------------------------------------------------------------

 

non c’è giorno che passi senza che qualcuno mi chieda che fine avrà mai fatto il gatto dalle unghie gentili. uffa (che non è di scortesia),  è che io non ne so proprio più niente. mica io sono suo papà. o mamma. insomma. sì, d’accordo, sono stato (e lo sono ancora) un suo amico. questo sì. a dire la verità adesso mi manca un po’. un po’ tanto. sento come un vuoto dentro. beh, può essere. io quando mi affeziono sono fatto così. ho passato tante notti in sua compagnia. per questo mi sono affezionato. vorrei che le cose che abbiamo costruito insieme non finissero mai. sì, lo so che è una idea stupida. ma se non si è un po’ stupidi mica si vive. adesso penserete che io voglia fare il filosofo. uffa (oggi è la giornata degli uffa), no, non è così. magari lo farò quando sarò grande. ma adesso no. certo che piacerebbe anche a me sapere dove è finito. questa storia assomiglia sempre di più a un giallo. c’è chi dice che potrebbe essere andato al lago. beh, io ci credo poco. forse ricordo male ma ultimamente mi aveva detto di aver perso l’indirizzo di orsetta. sì, la lavatrice. beh, si potrebbe chiedere a lei se ne sa qualcosa. magari in due dita di rosé si trova una qualche notizia. che non vuole dire verità. ma pressappoco. però anche lei è sparita. almeno. dalla mia agenda. gesù, io poi ho anche una mia idea. beh, anche a me a volte vengono delle idee. io sapevo di loro, voglio dire del gatto e dell’orsetta. così come sapevo di tanti dettagli che adesso conoscete anche voi. ecco, sì, ecco, io non credo potessero vivere a lungo alla giornata. no, non voglio dire che avrebbero dovuto pensare a un “per sempre”. quelli esistono solo nelle favole. e loro erano già troppo grandi per crederci ancora. poi il futuro è sempre così distante. avrebbero però dovuto pensare almeno al futuro di un giorno. beh, forse non capite cosa voglio dire. voglio dire che nella vita bisogna chiedersi: cosa faremo (è al plurale perché loro erano in due) domani. mica tanto tempo più in là. solo domani. è importante sapere che il discorso riprende. l’incertezza, sì, l’incertezza cancella qualsiasi complicità. per forte che sia.  ma poi, uffa, come potevate pensare che una giovane orsetta fosse complice con un vecchio gatto. e complice per cosa, poi? che avesse qualcosa da condividere con lui. siete degli inguaribili romantici. e non solo in apparenza. il tempo che passa non vi ha insegnato niente. neanche a me.

 

----------------- 13 - già -----------------------------------------------------------------------------------------------------

 

beh, adesso devo dirvi la verità. e per dirla vi racconterò un mistero. uffa, mi pesa farlo. ma non posso mica lasciarvi così in sospeso. e allora ecco: vi avevo già detto che quei due, voglio dire il gatto e l’orsetta,  avevano  deciso  di  vivere alla giornata. anche se lui avrebbe voluto vivere di più lei.  cioè non la giornata. da quanto ne so io, lui non amava le avventure. comunque, va beh, vivere alla giornata è un po’ quello che fanno tutti. ma non lo dicono. loro se lo sono detto. e anche più volte. così tante volte da cancellare tutto il loro passato. ecco che, allora, via tutto. da elenco: il lago, il blu (con le nuvole), i tramonti (più che le albe), la lingua nella quale inciamparsi, il graffio amoroso, il sandalo al bar, eccetera. cianfrusaglie da romantici fine ‘800. hanno voluto essere rigorosi. e lo sono stati. come la città di lui. che di troppo rigore sta morendo. beh, quello che vi avevo detto non era proprio tutta la verità. io sapevo già (me lo aveva detto un giorno) che orsetta non era mai esistita. se l’era inventata lui per sopravvivere. capite. sì, per sopravvivere. sapete, la fantasia ci soccorre sempre. per questo se fossi uno importante direi: coltivatela, può esservi utile. però a ben pensarci non è successo niente. guardate la gente. cammina per strada come sempre. con la stessa indifferenza. sì, l’indifferenza. ecco cosa può averlo ucciso. beh, ucciso. si fa per dire. anche se sono ormai giorni che non lo si vede più. non si fa più vivo. bisogna sapersi rassegnare. costi quel che costi. sì, certo di cose belle ne aveva inventate. e a me spiace sempre quando finisce qualcosa di bello. e un po’ lui lo era. anche se era nato in una osteria. su una strisciolina di carta scritta a matita. che poi è diventato il titolo. ma poi cosa c’entra. era comunque gentile. come le sue unghie. non sarà di certo ricordato per questo. al mondo ci sono cose ben più importanti. lui non sapeva che graffiare amorevolmente. va beh, lo so che solo per me non è una cosa da poco. sì, ma solo per me. mica per tutti gli altri. per questo non capisco il vostro interesse per sapere: se è ancora vivo. o se, se, se.  boh, mi stupisco sempre di come sono fatti gli altri. voi.  su, non siate tristi. gesù, in fondo anche lui, il gatto dalle unghie gentili, forse non è mai esistito. già.

 

 

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